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THE BOOKSTORECARTA CANTA
Suite francese
Irène Némirovsky
2005  (Adelphi)
LIBRI E ALTRE STORIE
all THE BOOKSTORE
13/10/2025
Irène Némirovsky
Suite francese
Suite francese di Irène Némirovsky è un romanzo incompiuto ma potente, pubblicato a più di sessant’anni di distanza dalla sua stesura. Scritto in “presa diretta”, durante l’occupazione tedesca in Francia. Una testimonianza viva, emozionante e indimenticabile, che unisce memoria storica e grande letteratura.

“Mio Dio, cosa mi combina questo paese? Dal momento che mi respinge osserviamolo freddamente, guardiamolo mentre perde l’onore e la vita. E gli altri, come considerarli? Gli imperi muoiono. Niente ha importanza. Che le si osservi dal punto di vista mistico o da quello personale, le cose non cambiano – è un tutt’uno.
Manteniamo la mente fredda. Tempriamo il nostro cuore. Aspettiamo.”

(Appunti di Irène Némirovsky tratti dal suo diario)

 

Irène Némirovsky nacque a Kiev nel 1903 da una famiglia ebraica benestante che, dopo la Rivoluzione russa, trovò rifugio in Francia, dove divenne una scrittrice affermata, osservatrice acuta e ironica della borghesia francese e delle sue contraddizioni. La sua vita, purtroppo, fu segnata tragicamente dagli eventi: con l’introduzione delle leggi razziali e l’occupazione nazista fu costretta a lasciare Parigi; nonostante la conversione al cristianesimo, venne arrestata nel 1942 e deportata ad Auschwitz, dove morì di tifo a soli 39 anni.

Il manoscritto di Suite francese, romanzo incompiuto, rimasto nascosto per decenni, fu ritrovato dalle figlie, rivelandosi come una delle opere più importanti della letteratura del Novecento, una sorta di eredità letteraria e spirituale di inestimabile valore.

Il romanzo è stato scritto durante l’occupazione tedesca in Francia di cui, come scrivevo poco più su, la Némirovsky è stata testimone diretta. È proprio questo che conferisce al libro una forza straordinaria, in quanto non è presente il distacco della memoria, ma l’urgenza emotiva della cronaca in “presa diretta”, impreziosita da uno stile personale e raffinato. Il punto di vista dell’autrice è lucido e privo di retorica, non giudica con lo sguardo della Storia, ma osserva con precisione e compassione le reazioni degli individui di fronte a quegli eventi tragici che stavano stravolgendo tutti gli equilibri esistenti.

 

Il libro si divide in due parti. La prima, Tempesta di giugno, descrive l’esodo di massa dei parigini che, nell’estate del 1940, cercano di abbandonare la città durante l’avanzata tedesca. La Némirovsky dà vita a un mosaico di storie in cui il momento della fuga diventa uno specchio delle pulsioni più profonde. La paura mette a nudo l’individualismo, l’avidità e la meschinità, ma fa affiorare anche momenti di inattesa generosità. La Némirovsky osserva i personaggi con sguardo implacabile ma senza cinismo: lascia emergere la verità di ciascuno, mostrando come le convenzioni sociali crollino sotto il peso della catastrofe.

Tempesta di giugno è, in fondo, un romanzo nel romanzo: non c’è un unico protagonista, ma una molteplicità di voci che raccontano come la guerra ridisegni le gerarchie, metta in crisi i valori e costringa ognuno a rivelarsi per ciò che è davvero.

Alcuni momenti della narrazione appaiono quasi surreali, così come alcuni dei personaggi. Lo scrittore Gabriel Corte, ad esempio, vive quanto sta accadendo più come un disagio personale che come un dramma comune. È preso totalmente da sé stesso e dai suoi bisogni, senza rendersi conto che, attorno, tutto è morte, desolazione e privazione. Charles Langelet, invece, collezionista raffinato e superficiale, sembra più preoccupato per le sue porcellane che delle vite umane, “con le sue mani grassocce e delicate, contratte sul volante” pensa di non essere fatto “per quell’esistenza volgare. Le mille piccole insidie della vita quotidiana erano troppo forti per lui”. La famiglia Péricand, invece, è un microcosmo della Francia cattolica e borghese degli anni ’40 che, sotto il velo della rispettabilità, cela falsità, egoismo e incapacità di adattarsi alla tragedia collettiva.

Hubert, il figlio adolescente, rappresenta il volto più ingenuo, idealista e fragile di un mondo che sta crollando. Ha appena 15 anni, ed è animato da un patriottismo genuino e sincero. Cresciuto in un ambiente “protetto”, si aggrappa a un’immagine romantica e quasi infantile della guerra, fatta di eroismo, gloria e difesa della propria terra dal nemico. Mentre i genitori pensano soprattutto a salvare beni materiali e prestigio sociale, Hubert sente il bisogno di agire, di “fare la sua parte”. Questo lo rende diverso dal resto della famiglia: meno ipocrita, più puro, ma anche terribilmente vulnerabile. Una sorta di antieroe tragico, che vuole combattere, ma non ha né l’esperienza e nemmeno gli strumenti. È attraverso la sua figura che la Némirovsky pone l’accento sulla perdita di giovani vite e l’inutilità dei sacrifici imposti da una guerra ormai sfuggita al controllo di tutti.

 

La seconda parte, Dolce, di cui esiste anche una trasposizione cinematografica, è forse la più sorprendente. L’autrice si concentra sulla vita di un villaggio francese occupato dai soldati tedeschi. Non descrive battaglie o violenze, ma la quotidianità della convivenza forzata, esplorando sentimenti ambigui, rapporti di potere, attrazioni e conflitti.

Attraverso personaggi come Lucile Angellier, giovane donna imbrigliata all’interno di un matrimonio freddo e privo d’amore e l’ufficiale tedesco Bruno von Falk, anche lui sposato, colto, sensibile e appassionato di musica, la Némirovsky racconta la complessità dei rapporti tra vincitori e vinti. Tra Lucille e Bruno nasce un rapporto complesso, fatto di rispetto, attrazione e tenerezza, che mette in crisi le regole morali e sociali dell’occupazione. Bruno non è presentato come un oppressore crudele, ma come un uomo diviso tra dovere militare e aspirazioni personali. Come a voler dimostrare che sotto quella che è l’immagine pubblica legata al ruolo di ciascuno di noi, esiste un’umanità che va oltre le apparenze. Quello che nasce tra i due è un sentimento inatteso, una storia tutt’altro che semplice o romantica, fatta di un’attrazione carica di sentimenti contrastanti, in cui il bisogno di affetto si intreccia alla vergogna e alla colpa, e la compassione convive con il senso di tradimento, anche verso la propria patria e i propri caduti.

«Signora, dopo la guerra tornerò. Mi permetta di tornare. Tutti questi problemi tra Francia e Germania saranno vecchi… superati… per quindici anni almeno. Una sera suonerò alla porta. Lei mi aprirà e non mi riconoscerà, perché sarò in borgese. Allora dirò: “Sono… l’ufficiale tedesco… ricorda? Adesso c’è la pace, la felicità, la libertà. La porto via con me. Venga, partiamo insieme”. Le farò visitare paesi. Io sarò un compositore famoso, naturalmente, e lei sarà bella come adesso…».

In Dolce la guerra appare come sospesa: il conflitto è sullo sfondo, mentre in primo piano ci sono le emozioni quotidiane, i silenzi, i desideri repressi. L’autrice non giudica, ma mostra: restituisce la verità di un tempo in cui nulla era semplice, e in cui anche l’amore, se riposto nei confronti della persona “sbagliata”, poteva assumere il volto della colpa. È proprio questa capacità di cogliere le sfumature dell’animo umano senza ridurlo a schemi ideologici o “etichette”, a trasformare il romanzo e, nello specifico, questo romanzo, in un’opera d’arte potente e universale.

 

Lo stile della Némirovsky è sobrio e incisivo, capace di accostare la durezza della realtà a lampi di poesia. Non è mai patetico, ma lascia che siano i gesti, i dialoghi e le piccole scelte quotidiane a raccontare la grandezza e la miseria dell’animo umano. Ogni personaggio, anche il più marginale, vibra ed è tratteggiato con profondità, come se la scrittrice volesse salvare dall’oblio quelle esistenze comuni che la guerra rischiava di cancellare, restituendo dignità a ogni voce soffocata dal suo rumore e dalla sua violenza.

Suite francese è una testimonianza intensa e preziosa su quella che è stata una delle epoche più buie. Leggerlo significa entrare nel cuore di quegli anni con lo sguardo disilluso di chi li stava vivendo e, al tempo stesso, confrontarsi con domande che restano attuali: come reagiamo di fronte alla paura, alla contrazione delle nostre libertà e all’amore, quando ogni cosa, intorno a noi, crolla e rischiamo di perdere tutto ciò che abbiamo?

“…Nel cuore di ogni uomo e di ogni donna esiste una sorta di Eden dove non ci sono né morte né guerre, dove bestie feroci e cerbiatti giocano pacificamente insieme. Dobbiamo solo ritrovare quel Paradiso, chiudere gli occhi davanti a tutto il resto…”.