Cerca

logo
REVIEWSLE RECENSIONI
22/08/2023
Bono Burattini
Suono in un tempo trasfigurato
"Suono in un tempo trasfigurato" è un album si pone sulla scia di quella fascinazione che lega il cinema sperimentale del periodo muto alla musica cosiddetta avant-garde di matrice elettronica, nato dalla suggestione delle opere e della figura della cineasta di origine ucraina Maya Deren da parte di un duo d'eccezione, Francesca Bono e Vittoria Burattini.

L’opera e la figura della cineasta di origine ucraina Maya Deren, pseudonimo di Eleanora Derenkovskaja, emigrata negli Stati Uniti negli anni Quaranta del secolo scorso, è stata oggetto di ripresa da parte di diversi musicisti: da John Zorn a Raffaele Serra (per chi volesse approfondire la figura di questa artista, segnalo l’articolo pubblicato da Vittore Baroni sulla rivista Blow Up #302/303 e la pubblicazione della graphic novel Maya Deren, La vertigine dell’esistenza). Di recente, invece, hanno tratto ispirazione dalla visione di alcune delle opere della Deren Francesca Bono e Vittoria Burattini, che hanno pubblicato da qualche mese l’album Suono in un tempo trasfigurato.

L’occasione per recensire questo LP, pubblicato da Maple Death (il disco è stato stampato solo nella versione in vinile) mi è stata data dalla visione di tre cortometraggi della regista: Ritual In Trasfigurated (1946), A study in choreography for camera (1945) e At Land (1944), unitamente alla visione di Luce Movimento opera sperimentale di Marinella Pinelli, proiettati dalla Triennale di Milano con l’accompagnamento dal vivo delle due musiciste italiane.

Sui curricula di Francesca Bono e Vittoria Burattini, per chi non le conoscesse, basterà solo ricordare come la prima si sia affermata quale voce degli Ofeliadorme, mentre la seconda sia la batterista dei Massimo Volume. Non fatevi però trarre in inganno, il nostro duo ha licenziato un disco che si pone in una zona “altra” rispetto ai gruppi citati.

 

Suono in un tempo trasfigurato è un bel disco, che mantiene una sua autonomia e validità artistica anche senza il supporto della visione dei cortometraggi sopra citati (e viceversa). Seppur in buona parte di matrice elettronica, brani come “Trick or Chess” o “Dinner Illusion”, con le linee circolari melodiche e i vocalizzi di Francesca Bono, non perdono le loro suggestioni.

Analogamente un brano come “La trama del desiderio” con il suo incedere inizialmente aggraziato succeduto da un pattern ritmico sostenuto, per poi sfumare nel silenzio si pone, alla pari di “Dancing Demons”, come un esempio di musica di “avanguardia”, che mantiene fruibilità e intelligibilità anche da parte dell’ascoltatore meno avvezzo agli (inutili) sperimentalismi.

Meritano una citazione anche le cangianti atmosfere di “Your house is a ghost”, dove trova adeguato risalto il sapiente drumming di Vittoria Burattini, e la peculiare scelta della strumentazione utilizzata da Francesca Bono: il mitico Juno 60, sintetizzatore analogico prodotto dalla Roland agli inizi degli anni Ottanta che ebbe una grandissima fortuna all’epoca (sia in diversi pezzi della così tanto vituperata italo-disco, sia nelle linee melodiche delle notissime “Take on me” degli A-ha e nell’altrettanto celebre “Time after time” di Cindy Lauper).

 

Quest’album si pone quindi nella scia di quella fascinazione che lega il cinema sperimentale del periodo muto (l’idea della Deren era che i cortometraggi sopra citati non fossero accompagnati da alcun audio) alla musica cosiddetta avant-garde di matrice elettronica (giusto per fare un esempio poco conosciuto ai più, l’insonorizzazione del film Nosferatu di Friedrich Wilhelm Murnau da parte degli Art Zoyd, gruppo francese che mixava tra loro il progressive con l’elettronica ed il jazz).

L’assenza di una colonna sonora originale, difatti, permette ai musicisti di mettere in scena uno spazio sonoro inedito senza alcuna precedente influenza, cosa che per esempio non avviene nelle seppur ottime riletture delle colonne sonore da parte di molti artisti (penso al trombettista Giovanni Falzone con le Mosche Elettriche, che ripropone con grande efficacia in chiave di jazz elettrico alcuni notissimi brani del maestro Morricone) dove l’originalità dei musicisti si mostra nella capacità di riformulare e dare veste nuova alla musica di riferimento. Una situazione che avvicina, sotto tale inusuale profilo, la musica popolare alla forma della cosiddetta “variazione in ambito classico” che, per l’appunto, è la riproposizione di un’idea musicale; si pensi alle variazioni Goldberg di Bach, oppure alle variazioni Diabelli di Beethoven.

 

Suono in un tempo trasfigurato è uno di quei dischi che possono essere definiti “laterali”, ovvero da avere e conservare con cura per mantenere uno sguardo “altro” sulle vicende musicali (di casa nostra e non solo).

Sarà che anche in questo caso si tratta di un duo, sarà per la copertina gatefold molto curata, ma questo album ha fatto tornare in mente The waking hour dei Dali’s Car, side-project che ha unito Peter Murphy (cantante e leader dei Bauhaus) e Mick Karn (bassista dei Japan, morto prematuramente alla pari di Andy Rourke degli Smiths).

Sin dalla cover di quell’album, ove veniva utilizzato il quadro Daybreak di Maxfield Parrish (curiosamente lo stesso quadro presente sulla copertina di The Present dei Moody Blues, uscito l’anno prima) ho trovato che quest’opera del duo bolognese – seppur sonoricamente molto differente – possieda quella raffinatezza di suoni frutto della fusione di due mondi differenti, le personalità delle musiciste, che trovano la loro amalgama in una dimensione musicale differente dai gruppi di provenienza.

In chiusura posso tranquillamente confermare a Vittoria Burattini (che ha avuto la cortesia di scambiare qualche parola prima e post concerto) che, alla pari delle opere cinematografiche della Deren, questo disco merita essere scoperto e apprezzato da una cerchia di pubblico consono alla caratura di tutte le artiste coinvolte.