Songwriter e violinista, membro delle Highwomen, moglie e pigmalione artistico di Jason Isbell, Amanda Shires non ha mai amato gli stretti confini del country tradizionale, preferendo un approccio meticcio e cercando di portare complessità a un genere ultra conservatore.
Lentamente, Amanda, è diventata un punto fermo nella scena della musica country di Nashville, città nella quale si è trasferita dal suo nativo Texas nel 2004, arrivando al successo con l’intimo e meditabondo My Piece of Land del 2016, un disco attraverso cui rifletteva sulla sua gravidanza e sulle realtà agrodolci della genitorialità casalinga. Nel 2019, come accennato, ha fondato il supergruppo country The Highwomen insieme a Maren Morris, Brandi Carlile e Natalie Hemby, una pugnace affermazione di femminilità in risposta alle radio country rock, che tendono a tenere ai margini la musica composta da donne.
Si è inoltre distinta nel tempo per le sue posizioni progressiste in tema di inclusività razziale e di genere, creando non poco scompiglio all’interno di un music system, come quello country, estremamente chiuso e tradizionalista. In tal senso, il suo settimo album si presenta come un ennesimo passo avanti nelle sue posizioni tenacemente di sinistra, un disco ancor più di rottura rispetto ai suoi precedenti, motivato dal desiderio di presentare un'immagine potente e sfaccettata dell’animo femminile. C’è un evidente volontà di trasgredire e di assestare un colpo al ventre molle della società conservatrice, come emerge dalle foto che troverete all’interno del cd: due sessualmente esplicite e, una terza, invece, che la rappresenta in veste bianca e casta, scattata ai piedi di un’imponente croce. Sacro e profano.
Così come è conturbante il video che accompagna l’opener "Hawk For The Dove", una cupa ballata dagli accenti blues, percossa da uno splendido assolo di violino, con cui la Shires si scaglia contro gli standard antiquati della sessualità femminile, a voler dimostrare che una donna, nonostante abbia compiuto i quarant’anni, può essere forte, sensuale e libera, non necessariamente il rimorchio della vita di un uomo (“Come on put pressure on me / I won’t break”). Allo stesso modo, nella vibrante title track, la songwriter ribadisce il tema dell’indipendenza femminile, giocando con le parole del titolo: “So che il costo del volo è l'atterraggio / Ma so che posso sopportarlo come un uomo / So che il costo del volo è l'atterraggio / Ma so che posso sopportarlo come Amanda”. Ogni donna è in grado di comportarsi come un uomo, ogni donna è in grado di essere se stessa. Un bel pugno in faccia agli stereotipi di genere.
Il produttore indie-pop, Lawrence Rothman (Marissa Nadler, Angel Olsen, Soccer Mommy, Kim Gordon, etc) ha compiuto un perfetto lavoro di bilanciamento, fondendo il suono di un violino crudo e vivido e liriche spesso aspre, con il lato poetico della Shires ed echi della tradizione, senza, però, dimenticare la direzione presa da alcuni giovani musicisti, che si spingono oltre i confini più tradizionali del country. "Stupid Love" è, così, un giocoso pezzo soul illuminato da un caldo arrangiamento di fiati, e il risultato è un numero sbarazzino che può richiamare alla mente Kacey Musgraves, mentre "Lonely At Night" è una ballata scintillante, che pesca il proprio abito nell’armadio del pop seventies.
Se questi sono brani davvero inusuali per chi arriva da Nashville, la morbida "Empty Cups", cantata in coppia con l’amica Maren Morris, riporta in luce la tradizione con una melodia forse prevedibile, ma sicuramente efficacissima.
E’ un episodio, però, perché la Shires, come detto, intende sovvertire le regole e scardinare la visione maschilista che vede la donna solo come moglie e madre. Nella frizzante "Here He Comes" parla di un amore occasionale, così come in "Bad Behavior", che si avvale di qualche inserto di elettronica e un breve accenno rap, la sua voce maliziosa canta di libertà sessuale senza pudori: “Non so se ti voglio, ma forse sì, Forse è la mia natura, Forse mi piacciono gli estranei. E se lo facessi?”.
La Shires, però, oltre a provocare, è anche in grado di autentica poesia, come avviene nella malinconica ballata "Fault Lines", che racconta di un momento difficile del suo matrimonio (Jason Isbell è qui presente alla chitarra in molti pezzi), in modo onesto e sorprendentemente semplice, frammenti di vita vissuta, che si ricompongono nella più onesta delle ammissioni, il dubbio: "Potresti dire che è tutta colpa mia / Non siamo riusciti ad andare d'accordo / E se qualcuno me lo chiede dirò ciò che è vero / E in realtà è: non lo so.”.
Da qualunque lato lo si guardi, Take It Like A Man, non certifica solo l’alto livello di ispirazione di una musicista che cerca di innovare, ma soprattutto evidenzia il modo diretto in cui la Shires sa raccontare e raccontarsi, senza filtri a mediare, senza menzogne che accomodino il disagio, la rabbia o il dolore, senza eccessi che accompagnano il suo schierarsi, sempre tenace. Se il femminismo implicito nel titolo invita la donna allo stoicismo per superare le barriere di genere, la Shires riesce essere al contempo assai fragile e vulnerabile, dal momento che non teme affermare come il desiderio di autonomia è ondivago e cambia con il cambiare della vita e delle stagioni. Una tendenza alla libertà ma anche un desiderio d’amore da cui non è possibile smarcarsi tanto facilmente. “Potresti essere la mia rovina, ma io mi ci stendo sopra”, canta in "Stupid Love". Perché anche una donna forte, talvolta, fa cose stupide, come innamorarsi di chi non dovrebbe. E’ la vita, è il mistero dell’amore, e non ci sono regole che tengano.