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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
22/04/2024
Air
Talkie Walkie
"Talkie Walkie" è quanto di più etereo e vaporoso gli Air abbiano prodotto nella loro carriera con tutti gli aspetti positivi e negativi del caso. Sopporta tuttavia benissimo il peso del tempo anche a vent’anni esatti dalla sua pubblicazione.

«Penso che le band siano grandi per tre, quattro, cinque album al massimo. Nei primi dischi, da Moon Safari a Talkie Walkie abbiamo mantenuto una sorta di freschezza, senza ripeterci. Ogni lavoro sprizzava sonorità diverse pur avendo un’identità ben precisa».

(Estratto da intervista a Nicolas Godin, loudandquiet.com, 2016)

 

Dopo le istanze giocose e vellutate di Moon Safari gli Air sono passati attraverso l’area a bassa pressione di 10,000Hz Legend per giungere all’electro pop “interstellare” di Talkie Walkie, ove l’ambient è di casa e si vaga all’interno di bolle di sapone. Sia ben chiaro, il carburante utilizzato per questo viaggio sonoro è sempre quello dei primi album: strumentazione acustica con largo uso di chitarra e poi pianoforte, archi, percussioni (fanno capolino addirittura banjo e glockenspiel), amalgamata con equipaggiamenti digitali, come drum machine e sintetizzatori, e analogici (tastiere vintage storiche del calibro di Korg e Moog). Vi sono, però, parecchie novità di fondo.

Viene scelto infatti un approccio ancor più leggero, a tratti naive, che fa sembrare di essere sospesi su una navicella. Parafrasando proprio il titolo di Moon Safari si potrebbe affermare con certezza la permanenza in orbita degli Air, con nessun atterraggio dopo il precedente giro sulla luna, ma la realizzazione, invece, del desiderio di rimanere dove non c’è forza di gravità, in un luogo in cui tutto si libra senza peso. Lo si percepisce a partire dall’apertura a metà strada tra il barocco e la space music di “Venus”, e questa sensazione prosegue nel singolo di successo “Cherry Blossom Girl”, carezzato dal magico flute di Malik Mezzadri, uno dei pochi brani con un contributo vocale (Jessica Banks) addizionale estraneo a Jean-Benoit Dunckel. Ecco dunque un’altra peculiarità. Dunckel offre un’efficace prova di duttilità, arrivando in alcuni episodi a cantare anche con tonalità femminili.

 

«Stay with me. I feel sad when you run. Save the time by lying on my chest. Stay in bed. I feel sad when you run».

La palma della miglior canzone va a “Run”, stupendo esempio di come si possano coniugare glitch, tendenze new age e dream pop, con riverberi, echi, loop e dilatazioni all’infinito. L’intero disco, peraltro, scorre via velocemente senza mai stancare. Un’altra chicca è “Universal Traveler”, che sguazza nella stessa folktronica sperimentata all’esordio e non deludono i tre strumentali, “Mike Mills”, “Alpha Beta Gaga” e soprattutto “Alone in Kyoto”, incluso nella colonna sonora di Lost in Translation. La francesità del duo Godin/Dunckel si coglie nelle atmosfere di queste tracce senza liriche, mentre assumono connotazioni più anglo-americane e derivative “Surfing on a Rocket” e “Another Day”. Una menzione particolare la merita la sensuale “Biological” con un testo dalle intenzioni ben precise, “I need your DNA. Your fingerprints, the flesh around your bones. I’d like to know why all these things move me. Let’s fuse our cells to be one as one tonight”.

Registrato a Parigi, l’album gode dell’arrangiamento d’archi di Michel Colombier e della produzione aggiuntiva effettuata a Hollywood da Nigel Godrich. Si tratta di due personaggi significativi per la buona riuscita dell’opera, che danno il loro tocco importante per finalizzare il tutto senza risultare protagonisti e invasivi, ma lasciando fluire il songwriting molto personale degli Air.

 

«Ogni gruppo può avere al massimo dieci anni di gloria, poi inizia il declino se non prova a reinventarsi».

Godin è sempre stato coerente e sincero nelle sue analisi. L'ultimo disco "convenzionale" degli Air, Love 2, arriva nel 2009, dopo Pocket Symphony (2007), a poco più di un decennio dal loro debutto ed è il loro quinto lavoro. Seguono due opere sui generis, Le voyage dans la lune, accompagnamento a una versione restaurata dell’omonimo film muto di Georges Méliès, e Music for Museum (2014), realizzato solo in vinile e registrato su commissione del Palais des Beaux-Arts de Lille nell'ambito del progetto Open Museum. Poi più nulla, a parte una raccolta e alcuni progetti solisti. Rimane fervida l’attività live che quest’anno ha già planato e ancora una volta atterrerà in Italia a giugno, per celebrare i cinque lustri di Moon Safari.

La loro fortunata miscela di Amour, Imagination, Rêve non smette così mai di incantare, lasciando aperta ogni speranza su nuovi, inaspettati e sorprendenti sviluppi futuri.