Con il live di sabato sera a Roma si chiude il tour estivo che i Tamango hanno battezzato Rampallonata. Un loro neologismo che strizza l’occhio all’immaginario calcistico, richiamando l’idea di una pallonata violenta e travolgente, che si fa manifesto: un grido di battaglia che sprona all’assalto, alla ribellione, a procedere controcorrente, sul campo quanto nella vita. Un monito che ricorda che manca un minuto alla fine della partita, mentre davanti a noi, sulla zolla giusta, sta rimbalzando la palla perfetta.
Il collettivo torinese, ufficialmente cinque membri ma linfa vitale di una comunità artistica che supera le venti persone (attori, musicisti, ballerini, cantanti, scenografi, stilisti, fotografi, videomaker, persino calciatori) ha costruito qualcosa di irripetibile: uno spettacolo totale, interamente autoprodotto. Tre ore di musica, teatro, parole e corpi in movimento; euforia, sudore e lacrime, scagliate sul palco e tra il pubblico in un viaggio breve ma denso: quattro tappe, da Torino a Roma, passando per Milano e Bologna.
E quale cornice migliore per restare fedeli all’immaginario del calcio, se non i campi sportivi di periferia? In una scena musicale che santifica i concerti negli stadi scintillanti (anche a costo di non fare sold out e svendere biglietti pur di riempire, l’importante è mettere San Siro o il Maradona nel CV) tra prati lucidi e curati da sembrare finti, spritz ghiacciati a quindici euro, ristoranti all you can eat e magari il centro scommesse accanto, i Tamango, sulla Lancia Beta Coupè dei loro videoclip scelgono di fare brusca inversione a U. Escono dal patinato e commerciale centro città e si tuffano nei campi di provincia: campi polverosi, sgangherati, che più che un rettangolo verde sembrano coltivazioni di patate, dove il pallone rimbalza come gli pare - e proprio per questo è lì, tra i sobbalzi e le buche, che si vede chi ha davvero talento.
A Roma, al Campo Sportivo XXV Aprile (nato negli anni ’60 grazie all’iniziativa popolare e diventato uno dei cuori pulsanti della comunità di quartiere) sabato è andato in scena uno spettacolo che intreccia musica, danza e recitazione. Al diavolo le scalette. Se pensate di ascoltare solo i brani già noti su Spotify o YouTube, siete fuori strada. Certo, al concerto dei Tamango ci si immerge ovviamente nei loro brani più iconici: dalla malinconia per una relazione finita de “Il cielo sopra Berlino”, all’atmosfere di locali fumoso degli anni ‘50 con “LUCCIOLA”, dalla vibrante energia da stadio del brano “Cani”, passando per il romanticismo surreale da film di Woody Allen di “MALADIE D’AMOUR”, fino alla poesia spontanea e bambinesca, vera e urgente, dell’ultimo pezzo pubblicato, “Con la faccia al sole e gli occhi chiusi”.
La Rampallonata Tour è anche un altrove inedito fatto di monologhi intensi, pezzi inediti che svelano l’identità poliedrica del collettivo, momenti recitati, improvvisazioni che scivolano libere tra un’interazione e l’altra, e quell’energia collettiva e corale che solo un gol al novantesimo minuto sa regalare. Balli che raccontano storie di corpi e di emozioni in movimento, musica che vibra e si reinventa sul momento.
I Tamango non sono solo estetica (curatissima) ma suonano anche maledettamente bene. Come il drink torinese da cui prendono il nome, un mix di piante, radici africane, infusi e alcol, riescono a mescolare con maestria e misura sprazzi di cantautorato contemporaneo ispirato alle proprie esperienze personali, sonorità soul e jazz retrò che creano atmosfere dense di emozione e profondità, insieme a influenze indie, rock ed elettroniche dagli arrangiamenti sempre freschi e sorprendenti.
Con questo cocktail musicale hanno ubriacato il pubblico di speranze e delusioni, amori finiti e voglia di riscatto, in un vortice di aspettative tradite e ribellione: la fotografia sincera di una generazione a cui stanno togliendo tutto, intrappolata in un conflitto non solo con se stessa ma con una società sempre più normativa, incasellata, consumistica e capitalistica, sempre più liberal-chic. E il manifesto generazionale esplode chiaro e senza filtri in un monologo che risuona nel campo come un grido di guerra:
"Signore e signori, arrendetevi adesso: assalteremo il parlamento e ammazzeremo chi si mette in mezzo. Signore e signori, non avremo pietà. Se ci sputate sul futuro noi bruciamo la città. Spareremo ai preti che fanno messa nei consultori. Non c’è dio, non c’è famiglia. Non c’è sangue, non c’è padre. Siamo figli della terra e della pioggia che ci bagna".
Il concerto dei Tamango è uno spettacolo totale di creatività e pura energia: politico, queer, sociale, antifascista, fluido e spontaneo, libero proprio come i ruoli del collettivo, che si alternano continuamente e senza costrizioni. Cinque scenografie realizzate a mano dal gruppo, decine di cambi d’abito, e una festa che è ribellione, liberazione, pogo, polvere attacca alla pelle, lacrime e tanto, tanto sudore. Un invito a non conformarsi, a non lasciarsi schiacciare dalla società, a scegliere l’autenticità, a mostrarsi fragili.
Meta-teatrale, meta-musicale, meta-tutto: un’esperienza che potremmo definire uno post-concerto, un luogo dove musica e performance si fondono in un abbraccio inaspettato e liberatorio. La rivoluzione è iniziata e gli affamati di vita Tamango ci ricordano che si può fare ma solo a pancia vuota:
"Provate a spararci. Continuerete sempre a mancarci.
Perché noi siamo bambini alti un metro e trenta. E voi sparate ad altezza uomo".