Con il suo quarto film a colori Yasujiro Ozu confeziona quella che può essere considerata una sorta di summa di tutto il suo cinema più maturo. È questa una considerazione che si giustifica facilmente osservando come in Tardo autunno ritornino, con lievi variazioni e nuovi approfondimenti, non solo i temi cari al regista (che sappiamo essere più o meno sempre gli stessi) ma anche singole situazioni già esplorate in precedenza e finanche gli stessi attori che hanno preso parte ai film precedenti del regista giapponese e che qui tornano a sfilare, con ruoli più o meno importanti, pressappoco tutti.
Tardo autunno è anche una sorta di remake di uno dei più alti capolavori di Ozu, quel Tarda primavera nel quale la giovane Noriko (l’immancabile Setsuko Hara), ormai in età da marito, rifiuta ogni relazione per poter continuare a vivere in casa con il padre Sh?kichi Somiya (Chish? Ry?) vedovo ormai da diverso tempo, un uomo con il quale la figlia ha un ottimo rapporto e che non vuole lasciare solo.
Qualche anno più tardi Ozu ricrea la stessa situazione adottando qualche piccolo cambiamento: richiama così Setsuko Hara e le cuce addosso il ruolo della vedova ancora giovane con una figlia, Ayako, che non vuole sposarsi per non lasciare sola la madre con la quale conduce una vita felice e serena.
Continua quindi il lavoro di cesello del regista per affinare il suo racconto sulla famiglia, sulla società in mutamento, sulle nuove generazioni, sull’ammodernamento e sull’occidentalizzazione di un Giappone in bilico tra il nuovo che avanza e la nostalgia per le tradizioni.
Alla commemorazione per il settimo anniversario dalla morte dell’amico Miwa, i signori Mamiya (Shin Saburi), Taguchi (Nobuo Nakamura) e Hirayama (Ryuji Kita) si ritrovano per ricordare il vecchio compagno insieme alla sua vedova Akiko (Setsuko Hara) e alla di lei figlia Ayako (Yoko Tsukasa). In gioventù tutti e tre gli uomini nutrivano dei sentimenti per l’allora giovane Akiko, una donna tutt’ora molto bella, una sorta di benevola rivalità messa poi a tacere proprio dall’arrivo dell’amico Miwa che ebbe la meglio su tutti e riuscì a convolare a nozze con la sua futura moglie.
Volendo tutti e tre molto bene alla donna ed essendo sinceramente affezionati a sua figlia Ayako, anch’ella molto piacente, il trio di uomini adulti si mette in testa di dare una mano alla famiglia cercando un valido pretendente per la mano della giovane, una ragazza ormai in età da marito.
Durante la ricerca, soprattutto grazie alle gaffes del signor Taguchi, i tre combineranno diversi pasticci, creando equivoci e malumori per appianare i quali questi uomini maturi dovranno ricorrere all’aiuto delle nuove generazioni.
Se da principio Ayako non vuol sentir parlare di matrimonio desiderosa di continuare a vivere con la madre, una volta conosciuto uno dei pretendenti presentatogli dai tre, il giovane Goto (Keiji Sada), un piccolo tarlo inizia a farsi strada nei suoi pensieri. Ma mentre Ayako inizia a considerare l’idea di sposarsi, resta il nodo irrisolto della madre Akiko: lasciarla sola o rinunciare alla propria indipendenza?
Tardo autunno si apre su uno dei simboli di quella che allora era la modernità giapponese, la Torre di Tokyo, inaugurata un paio di anni prima è che qui è perfetto emblema di tutte quelle inquadrature esterne con le quali Ozu ha puntellato e messo in pausa per qualche istante le narrazioni di tutti i suoi film del periodo. È il primo segnale di continuità con quanto fatto dal regista negli anni e nei film precedenti; dal punto di vista stilistico infatti non si notano evoluzioni significative se non un perfezionismo formale sempre più sicuro e marcato, acuito anche dall’uso del colore a impreziosire costumi, arredi e scenografie.
Come sempre la gestione delle situazioni è ammantata da una serenità che anche nel conflitto porta sempre a una risoluzione pacifica, visione forse indotta dalle tragedie che i giapponesi hanno vissuto sulla loro pelle a causa dei conflitti, conflitti che ora giustamente tendono a evitare, anche nel quotidiano, dando sempre più spazio ai punti di vista e ai desideri delle generazioni più giovani, forse più aperte e pronte per il mondo che giorno dopo giorno, anche in Giappone, si sta costruendo. In questo senso non mancano le vedute su stradine che ci sembra di aver già visto e che presentano sempre più insegne dai caratteri occidentali, segno di forte mutamento, si cita Elvis, si vedono comparire prodotti esteri.
In un periodo storico in cui il Paese affrontava proteste, tumulti e la nascita di un nuovo cinema Ozu non manca di guardare al passato attraverso la solita onda nostalgica, attraverso i ricordi di gioventù dei tre amici ad esempio, nel ritornare al loro amore per Akiko, nell’omaggio all’amico scomparso, tutto sempre con un tono lieve, talvolta anche comico e disteso (la cerimonia del ricordo di Miwa è tutt’altro che triste, si scherza, si ride).
Sono presenti anche i conflitti sul matrimonio, tema principe per Ozu, e questi sono diversi: contrasto tra matrimonio combinato e d’amore, le seconde nozze viste come tradimento al precedente marito defunto, la paura del matrimonio come chiusura verso altri affetti e via di questo passo, tutti elementi dettati forse dal fatto che il regista non si sposò mai e preferì vivere con la madre fino alla fine della sua esistenza, scelta che potrebbe aver provocato in Ozu rimpianti e ripensamenti.
C’è molto di privato nei film di Ozu ma c’è anche molto di pubblico, di universale, a dimostrazione di ciò il fatto che il cinema del maestro sia ancora apprezzato e godibile anche ai giorni nostri.