Dagli esordi settantasettini di band passate alla storia (Viletones e Diodes), ad altre di più recente formazione (Death From Above, Danko Jones, Fucked Up, Metz), Toronto ha sempre contribuito generosamente alle vicende del Punk d’oltreoceano. Non solo, ogni anno la capitale dell’Ontario organizza il festival Not Dead Yet, uno degli appuntamenti più importanti per il movimento Hardcore/Punk nordamericano. E’ in questo clima che dieci anni fa si sono formati i Teenanger, dapprima facendosi le ossa sui classici dei Ramones, poi mettendo nel proprio carniere cinque album compreso quest’ultimo intitolato significativamente Teenager. Una vera e propria capitolazione sul versante comunicativo, come dire: ok, ce la siamo andata a cercare! A Google infatti poco importa dei giochi di parole, per i suoi algoritmi “Teenanger” è semplicemente un errore di battuta di chi invece cerca più comunemente “Teenager”. Avventuroso quindi trovare news e quant’altro sulla band canadese. Mettiamoci inoltre che si autoproducono attraverso la Telephon Explosion (minuscola etichetta gestita dal chitarrista Joe Shouten e dal batterista Steve Sidoli) e il capolavoro autolesionistico è servito: Chi? Teenangers? Mai sentiti!
Ebbene, vale la pena sfidare i motori di ricerca, insistere per fare la conoscenza di questa magnifica band, perché i quattro (oltre ai già citati Shouten e Sidoli, la bassista Melissa Ball e il cantante Chris Swimmings) hanno il dono di saper scrivere canzoni fresche e piacevolissime riuscendo ad ogni uscita a crescere stilisticamente aggiungendo nuove sonorità al Punk istintivo degli esordi. Teenager colpisce proprio sotto questo aspetto grazie all’immissione di abbondanti dosi di Pop, New Wave e Post Punk sebbene l’attitudine rimanga la sempre la stessa: far casino divertendosi e divertendo. Dawn, Just Drop It, Fun Forgot, N.O.B.L.O., ben rappresentano gli aggiustamenti di rotta intervenuti negli ultimi tempi, un’affascinante escursione negli anni d’oro della New Wave americana, tra minimalismo Art/Rock e spasmi Post Punk, in cui primeggiano il timbro indolente della voce di Chris Swimmings e l’affilatissima chitarra di Joe Shouten. Non tutto comunque funziona come dovrebbe, la pesantezza vintage dei synth nella strumentale Two Middle Fingers, le pompose orchestrazioni di The Night Shift (quasi dei corpi estranei rispetto al mood predominante in scaletta). Prove tecniche per dare il definitivo addio ai loro trascorsi punkettari? Staremo a vedere, Google permettendo.