Per chi non conoscesse il disco originale, la Deluxe Edition di Temple sarà una doppia scoperta. Da un lato la scoperta di Thao, una vietnamita con anni di carriera alle spalle, controversa, isolata ed attaccata alle proprie radici culturali. Dall’altro lato la scoperta del sound del suo disco, profondamente high quality, che muove le sue origini verso la modernità, per rendersi più fruibile e a chi la ascolta. Le ritmiche, così come le chitarre, sono sia elettroniche sia acustiche, ma comunque divinamente trattate nel suono, ingrossate da basse frequenze nitide, sotterranee, scure, ma anche legnose e crude, come se fossero prese da strumenti vecchi e tradotte in alta qualità.
I sintetizzatori non ingombrano e si mescolano con gli archi in maniera impeccabile. Immancabili i piani elettrici che, elaborati attentamente fino a diventare qualcos’altro, chiudono il quadro sonoro delle basi strumentali su cui poggia l’espressività di Thao, sempre calibrata, pensata e sincera. A volte melodica e contorta, sui confini che separano sottilmente il post rock col prog, altre volte sussurrata in intime ballate. Mi sono chiesto se dirlo o meno, ma Se ci state pensado anche voi sì, si respira Bjork, nell’ispirazione o comunque nel mondo lontano che improvvisamente ci viene reso limpido e si deposita sotto i nostri occhi.
Temple è un disco di amore, canzoni e parole di pelle, che nascono da un’emozione pura e diventano una sensazione rivoluzionata e fatta propria in chi ascolta. Tutte le canzoni hanno un valido motivo per colpire dritto a segno, che siano scritte bene o interessanti comunque arrivano al punto, ma poi arriva quella che colpisce ancora più in fondo, dritta nell’animo: “Rational Animal”. Lei diventa emozione, brivido. Col passo di una ballad tenuta da Phil Selway dei Radiohead, con gli accordi giusti, si presenta e ti prende.
Da questo punto in poi il disco si presenta al suo meglio e si incastra più nel profondo con il sentire di chi ascolta.
“I’ve got something” è una canzone sull’estraniamento, che vediamo reso nelle parole, nell’empatia vocale, nella dolcezza dei cori che si intrecciano come tanti lacci di un unico nodo. L’elettronica va a braccetto con le frasi distorte di chitarra, tenute a debita distanza dal precipizio del fuori luogo. “Marrow” chiude la forma originale del disco, immersa in un mondo di suoni fatto di videogiochi arcade e sotto un tappeto ritmico educato ma ostinato.
Con gli extra aggiunti nell’edizione deluxe, quattro versioni alternative con archi e voci, sembra che Thao voglia riprendere in mano quel sottile senso di tradimento verso le proprie origini, verso il proprio stile. Torna alla carne ed al primitivo, dando con la vibrazione dell’archetto e con un nuovo sapore vocale, più nudo e quasi prossimo all’imperfezione, quell’inconfondibile abbraccio che mira a conservarti dal vuoto presente al di fuori di questi arrangiamenti.