Raramente intercettati dai radar nostrani, i Black Orchid Empire sono un gruppo rock alternativo inglese formatosi nel 2011 a Londra, composto dal cantante e chitarrista Paul Visser, dal cantante e bassista David Ferguson e dal batterista Billy Freedom. Inserito nel filone prog metal, il trio britannico, in realtà, si fa portabandiera di una miscela suggestiva in cui confluiscono metal moderno, rock alternativo, una sfacciata inclinazione per melodie fresche e dall’appeal radiofonico e, si, anche qualche momento di complessità espositiva contiguo al prog.
Giunti al quarto album in studio, prendono in prestito il motto latino Tempus Veritas (che si può tradurre in: la verità è figlia del tempo) per sviscerare attraverso undici canzoni un concept di natura storica, con cui immaginano eventi del passato, per dimostrare che la verità, è inevitabile, viene rivelata col passare del tempo, e che attraverso storie e leggende antiche è possibile conoscere meglio i giorni nostri.
Siamo di fronte, insomma, a quella nobile arte del concept, nata e sviluppatasi soprattutto negli anni ’60 e ’70, che non ha però come tema la fantascienza, drammi epici e vite personali, ma, sic et simpliciter, la storia. In tal senso, "The Raven" getta uno sguardo sui Sassoni e i coloni nordici, "Deny The Sun" riflette su come Papa Urbano VIII considerò le scoperte di Galileo Galilei sulla vera natura del sistema solare, "Glory To The King" si immedesima nel punto di vista delle tribù indigene del nuovo mondo nei confronti degli esploratori europei in cerca d'oro, che li sfruttavano e li uccidevano durante il sedicesimo e il diciassettesimo secolo.
Tempus Veritas non è, però, solo tematicamente coinvolgente, perché in questo disco ci sono ottime canzoni, deliziosi riff, corroboranti groove e quelle chitarre ribassate il cui suono evoca il djent. L’uno due iniziale della title track e "Hydrogen", le sportellate di "Weakness" (dalle quali si accede a un irresistibile ritornello) e i sali e scendi, tra melodie atmosferiche e cupo metal, di "Last Ronin" dimostrano che il terzetto sa esattamente cosa sta facendo e lo fa benissimo.
La band, poi, suona bene (ascoltare l’ottima linea di basso su "Hydrogen"), crea melodie di facile presa, ben cantate dal timbro carezzevole di Visser, e ha come punto di forza il drumming di Freedom, efficace e fantasioso, spesso alla ricerca del numero in controtempo.Tempus Veritas premia ogni ascolto, ma non è privo di difetti. Sebbene sia una formula collaudata e utilizzata con maestria, l'approccio riff pesante – riff morbido – ritornello melodico e ripartenza, quando è fatto bene produce esiti notevoli ("Glory To The King"), ma dopo qualche traccia il gioco mostra un po’ la corda e si percepisce una certa ripetitività di fondo.
A prescindere da questa necessaria considerazione, la realtà che i Black Orchid Empire siano bravissimi in quello che fanno e abbiano grande consapevolezza. C’è anche un po’ di furbizia, certo, ma i groove e ritornelli, nonostante una qualche prevedibilità, risultano tutto somma sempre centratissimi. E pur con tutto l’obbiettività possibile, una volta che il disco parte, è difficile smettere di ascoltarlo. C’è molta sostanza e un’attraente confezione, manca, forse, solo un po’ di coraggio in più.