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REVIEWSLE RECENSIONI
That's What The Music Is For
The Apartments
2025  (Talitres Records)
IL DISCO DELLA SETTIMANA AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS POP
9/10
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03/11/2025
The Apartments
That's What The Music Is For
L'ennesimo grande disco a firma Peter Milton Walsh, un pugno di canzoni malinconiche e autunnali, che raccontano di amori andati per sempre, di storie destinate a finire e, soprattutto, del peso della musica nelle nostre esistenze.

Peter Milton Walsh è uno dei più grandi songwriter in circolazione, eppure i suoi Apartments, un progetto musicale che nel 2025 compie quarant’anni di attività, vive dell’amore incondizionato solo di una piccola nicchia di ascoltatori. Underrated, direbbero gli anglosassoni, cioè sottovalutato. I motivi sono vari e sovrapponibili: Walsh ha sempre mantenuto il basso profilo dell’outsider e la sua musica, così colta, raffinata e umbratile, è destinata a un pubblico che vive costantemente con l’autunno nel cuore, alla ricerca della voluptas dolendi, del desiderio di vivere il proprio dolore, filtrandolo atraverso gli occhi di una malinconia agrodolce.

Nativo di Sydney e cresciuto a Brisbane, Peter Milton Walsh esercita la sua professione di cantautore dal 1978, da quando cioè, ha militato, per un paio d’anni, nei Go-Betweens, gruppo iconico del movimento indie rock australiano. Un recinto evidentemente troppo stretto per chi aveva già in testa gli Apartments, una sorta di progetto solista intorno al quale hanno ruotato nel tempo la bellezza di diciotto diversi musicisti.

Walsh e la sua creatura da sempre suonano una musica d’atmosfera per ascoltatori malinconici, filtrata dallo sguardo consapevole di un dandy che ha perso tutto e riflette sugli struggimenti esistenziali, guardando il mondo alla luce del crepuscolo, sorseggiando un bicchiere di scotch. Questa è musica per chi è in credito nei confronti della vita, per chi ha rimpianti che non riesce ad accettare o lutti che non riesce ad elaborare. Le canzoni degli Apartments sono canzoni da notte fonda, vissuta in compagnia dei propri fantasmi, sono canzoni che profumano di foglie calpestate mentre si cammina da soli nella nebbia, canzoni per chi guarda la grigia risacca del mare in inverno, il cuore in tumulto come le onde livide che si schiantano sulla marina.

Musica per gente persa e per perdenti, per chi sceglie la solitudine di una panchina sotto la pioggia. Per espiare le proprie colpe, per ripensare a ciò che non è stato e non sarà, per cercare nelle tessiture melodiche di Walsh quella pace interiore, a cui altrimenti non arriverà mai.

Sono solo otto le canzoni di questo nuovo That’s What The Music Is For, un titolo bellissimo, che lascia spazio a ogni possibile interpretazione. A cosa serve la musica? A cosa servono queste otto canzoni avviluppate nella malinconia dell’autunno?

Ognuno di questi brani è una triste elegia che parla di relazioni finite o destinate a finire. Sono canzoni che abitano i luoghi oscuri della mente e dell’anima, laddove si raggrumano mestizia, lucida comprensione, ma anche rimpianti, amarezza, delusione e rammarico.

Non è un caso che l’iniziale "It’s A Casino Life" tra note di piano sgocciolate e un mesto drive di chitarra acustica si apra con i versi “Close My Eyes..And You’ll Come Back”, fotografando la tristezza di desideri irrealizzabili, ma anche il risentimento per una sconfitta tanto amorosa quanto personale, racchiusa in liriche che non lascino spazio all’happy ending: “Sei sempre stata la mia causa persa preferita”.

Lo schema si ripete in "Afternoons" ("Ho amato il mondo che è venuto con te") e in "A Handful Of Tomorrow" ("Ti ho amato mentre la musica suonava"): sempre la stessa atmosfera musicale malinconica e dolorosa, lenta e prolungata, come un sogno da cui il cantante fatica a svegliarsi. Un pianoforte dolce, una chitarra, una fremente angoscia lirica.

Sottili variazioni tonali emergono con gli ascolti. La bella voce di Natasha Perot porta grazia nel duetto di "Afternoons", la batteria di Nick Kennedy è più marcata in "A Handful Of Tomorrow", così come la voce di Walsh è segnata da un’amarezza senza fine, mentre "Another Sun Gone Down" è attraversata dalla tromba accorata di Jeff Crawley. Sono particolari, dettagli cesellati che richiedono svariati ascolti per capirne la portata e essere apprezzati in pieno.

Walsh scandisce le liriche con la sua voce unica, che pronuncia ogni parola come se fosse una lacrima da assaporare. Accade soprattutto nella title track in cui il songwriter immagina di fermare il passare del tempo attraverso le proprie canzoni: "Di nuovo novembre, è tempo di arrendersi al buio", canta, "Riporta indietro i giorni in cui eri presente, È a questo che serve la musica."

C’è un pungolo di macabra ironia che segna "Death Would Me My Best Career Move", un brano attraverso il quale Walsh riflette sulla propria carriera. Nonostante la qualità stellare del suo songwriting, il musicista australiano ha avuto scarso successo commerciale nei suoi quasi cinquant'anni di attività. È inquietante, dunque, sentirlo suggerire che "la morte sarebbe la mossa migliore per la mia carriera". E’ però la lucida visione di un destino artistico che spesso riserva il successo e l’attenzione meritata, solo dopo il decesso. Quante volte è capitato? A quanti straordinari musicisti?

Walsh si guarda dentro, cerca nell’intimità dei sentimenti più inaccessibili il senso della propria scrittura, ma è anche un artista che ha chiare idee politiche, attraverso le quali giudica il mondo che lo circonda. “Stasera, posso scrivere i versi più tristi, So che sembra difficile trovare la speranza. Potresti lasciare questo paese. Sei sicuro di doverlo fare? Resteresti a lottare per qualcosa di buono?” canta Walsh all'inizio di "The American Resistance", che altro non è se non un'altra storia d'amore fallita, quella tra cittadino e patria: "L'America è caduta ora, La resistenza sorge in ogni città". Militante e battagliero, a modo suo.

La disillusione trova il suo culmine nell'epica e cupa canzone di sei minuti "You Know We’re Not Supposed To Feel This Way", che chiude il disco. "Lei dice che non lo sopporto, lo sopporto comunque, altrimenti non potrei andare avanti", canta Walsh. E’ questo dunque il senso della musica, l'arte che ha il potere di lenire il dolore, di cristallizzare sentimenti rendendoli universali, e di spingerci ad andare avanti, nonostante tutto. Tenendo in vita, forse, quei grandi amori che se ne sono perduti per sempre: "Se canto questa canzone forse non scomparirai", e ancora "Ne ho viste così tante andare e venire, La musica resta, il cantante se ne va" recita Walsh, anche se il protagonista sa bene nel profondo dell’anima che sta combattendo una battaglia persa. Nessuno tornerà mai. Eppure lo deve fare. Perché l’arte e, nello specifico, la musica, non solo rendono la vita migliore, ma hanno anche il potere di consegnare un piccolo frammento del nostro cuore all’eterno.

"Sei lì nelle canzoni che lascerò dietro di me?"