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REVIEWSLE RECENSIONI
23/09/2022
Kasabian
The Alchemist's Euphoria
I due termini che danno il titolo all’album (alchimista ed euforia), uniti a ciò che suggerisce lo scintillante soggetto rappresentato sulla sua copertina (un casco che riporta alla mente da un lato i Daft Punk e la loro elettronica, dall’altro lo spazio e gli astronauti), sono forse la migliore sintesi di tutto ciò che avete la necessità di sapere sul nuovo disco dei Kasabian.

"Questo album è stato solo un modo per dire: vediamo cosa possiamo fare, vediamo dove possiamo arrivare". (Serge Pizzorno, da un’intervista a NME)

 

 

Partiamo dall’alchimia: una disciplina fisica e chimica, ammantata di occulto, che miscela grande tecnica ad un pizzico di ciarlataneria, ma che al tempo stesso porta con sé la possibilità di trasmutare le sostanze. Implica nella sua attuazione un'esperienza di crescita, o meglio, un processo di liberazione spirituale di chi la pratica; un’ascesa a livelli più profondi del reale che in alcuni casi diviene quasi processo di salvezza o di ritorno al proprio principio creatore. A livello metaforico viene anche definita come un accostamento insolito di elementi, che porta a un risultato originale e raffinato.

L’euforia, dall’altro canto, è una sensazione reale o illusoria, di benessere somatico e psichico che si traduce in un più vivace fervore ideativo; una condizione dell’animo che regala a chi ne è soggetto una maggiore recettività per gli aspetti belli e favorevoli dell’ambiente, oltre che una tendenza a interpretazioni ottimistiche. Uno stato di benessere e un senso di soddisfazione che si esprimono con allegria, vivacità ed esuberanza, ma che in alcuni casi potrebbero essere dovuti anche a fenomeni di lieve intossicazione.

 

Che cosa ci dice tutto ciò di The Alchemist’s Euphoria? Bè, quasi tutto. Ci racconta tra le righe di un Serge Pizzorno che si ritrova solitario ad affrontare un cambiamento, di un’alchimista con una grande capacità, dimostrata per anni come paroliere e chitarrista per i Kasabian, ma anche come artista solista nel suo progetto elettronico The S.L.P. (The Sergio Lorenzo Pizzorno), a cui ora è chiesto di crollare o sbocciare. Dopo l’abbandono nel 2020 dell’esuberante frontman Tom Meighan, che ha scelto di lasciare la band dopo aver aggredito la sua compagna (la quale però l’ha non solo perdonato, ma anche successivamente sposato), i Kasabian potevano chiudere i battenti o trovare un nuovo modo di andare avanti, e hanno propeso per la seconda opzione.

Serge, da sempre unico compositore dei brani della band, sceglie di tentare un processo di trasmutazione, emergendo come leader de facto e prendendo ancor più le redini sul piano creativo. Da un lato chiedendo al chitarrista Tim Carter, a lungo turnista per la band, di entrare come membro ufficiale, di modo da sgravarlo della necessità di dover suonare in sede live e aumentando la sua capacità d’azione e movimento sul palco; un ruolo temuto, ma affrontato applicandosi e con un pizzico di follia, ovvero studiando per giorni e ore i video di Iggy Pop che scatenava la folla: quale migliore corso accelerato per diventare rockstar? Dall’altro lato Serge ha avvicinato ulteriormente il suono dei Kasabian a qualcosa che sente suo, sia a livello musicale sia a livello vocale, ovvero il mondo dell’elettronica.

 

I Kasabian sono sempre stati molto elettronici, nella vertigine del loro rock alternativo, ma la formula aveva molto probabilmente bisogno di una scossa. West Ryder Pauper Lunatic Asylum (2009) è stato più che sperimentale e ha messo la band sulla rampa del successo, Velociraptor! (2011) è stato forse il loro capolavoro, ma con i successivi gli esiti sono stati pressoché mediocri: al di là di qualche meraviglioso singolo (vedi “eez-eh”, “III Ray (The King)” o “You’re in Love with a Psycho”), negli ultimi due album (48:13 del 2014 e For Crying Out Loud del 2017) la loro declinazione di alt-rock non ha mai portato a dei risultati eccezionali; quindi, forse era davvero il caso di cogliere l’occasione per percorrere nuove vie.

Serge, di conseguenza, ritrovatosi solitario alchimista, ha miscelato, mescolato, macerato e sobbollito gli ingredienti a lui più consoni (leggi: elettronica con venature psichedeliche in tutte le sue forme) in compagnia del produttore Fraser T. Smith (noto per aver lavorato con Adele, James Morrison, Taio Cruz, Calum Scott, Stormzy, Mabel, Craig David, Gorillaz, etc.). Il timore iniziale è stato trasformato in euforia: quel vivace fervore dato dalla piena libertà creativa e d’azione, quella lieve intossicazione da benessere e senso di soddisfazione che ha tutti i meriti per essere provato sulla pelle e nei più reconditi neuro ricettori cerebrali. Poco importa che Tom Meighan prima o poi ritorni o che la nuova formazione sia quella definitiva, il risultato espresso in The Alchemist’s Euphoria è proprio quella soluzione originale e raffinata promessa dall’alchimia. È l’album sperimentale, nuovo, ipnotico, sentito – e soprattutto davvero bello – che i Kasabian avevano bisogno di fare.

 

Arrivati a questo punto abbiamo l’alchimista, la sua euforia, un abbondante uso dell’elettronica, ma manca un fattore: lo spazio. Cosa c’entra il mondo dei cosmonauti in tutto ciò? Ebbene, è semplicemente il concept che Serge ha avuto in mente nel creare le 12 tracce del disco. "Ho sempre voluto fare qualcosa con l'idea di vedere il mondo dallo spazio", ha dichiarato, "come questo cambia la personalità degli astronauti, perché vedono questo pallido punto blu". Un elegante fluire di synth introduce e conduce il viaggio, talora portando le orecchie dei viaggiatori in territori più rock e “old school”, talvolta facendoli scatenare a suon di rave (“ROCKET FUEL”) o giocare con il drum’n’bass, il lad rock, l’hip hop, altrove facendogli semplicemente trattenere il respiro e godere di magiche melodie, come quelle regalate con la favolosa “THE WALL” e con la bellissima “T.U.E. (The Ultra-View Effect)”. Quest’ultima in modo particolare è ispirata alla visione del mondo dallo spazio esperita dagli astronauti, che si dice modifichino la loro percezione della Terra una volta che la vedono sotto di sé come un unico compatto e sferico ecosistema, perso in una magnetica danza nel buio del cosmo. Un’esperienza quasi extra-corporea che Serge tiene ben presente nella costruzione del disco, poiché è quella che ha provato nel sentirsi catapultato nel suo nuovo ruolo e che ha usato per poter elaborare le nuove sensazioni che questa gli forniva.

 

The Alchemist’s Euphoria è probabilmente uno dei lavori più coraggiosi e coesi che i Kasabian abbiano realizzato fino ad oggi; un’evoluzione saggia e poco scontata, sperimentale e innovativa, eclettica e intima, che non ha paura di valicare i suoi confini, ma entro cui si possono ancora leggere tutti i tratti che hanno reso i Kasabian ciò che sono, ricalibrati sotto una nuova prospettiva. Un’ulteriore conferma della duttilità della band e della sua capacità di poter prendere qualsiasi direzione desideri. I fan della prima ora o degli ultimi anni forse non troveranno pane per i loro denti, ma per gli amanti dell’elettronica e del suono del cosmo, osservato tra mare e stelle in un fluire di onde e particelle, potrebbe rivelarsi una vorticosa e affascinante scoperta.

 

 

«Lascia che la tua mente vada alla deriva, stai galleggiando nello spazio? Altri mondi si stanno svegliando, non devi scappare, dalle risposte di cui hai bisogno. Anche se la tua testa non è a posto, andrà tutto bene, se solo inizi, a lasciarti andare» (“Letting Go”)