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MAKING MOVIESAL CINEMA
The assassin
Hou Hsiao-hsien
2015  (Raiplay / Eagle Pictures)
DRAMMATICO AZIONE
7,5/10
all MAKING MOVIES
03/02/2023
Hou Hsiao-hsien
The assassin
The assassin è un'opera in prevalenza formale, dove la costruzione delle inquadrature, i movimenti di camera, la meraviglia che si apre su paesaggi di bellezza inarrivabile, il lavoro fatto con e dagli attori, superano di gran lunga l'importanza di una storia con pochi passaggi ma allo stesso tempo non così semplice da seguire.

A tutt'oggi The assassin resta l'ultima opera del regista naturalizzato taiwanese Hou Hsiao-hsien, film che già nel 2015 arrivava dopo un'assenza dagli schermi da parte del maestro durata ben otto lunghi anni.

Abbiamo già avuto modo tempo addietro di parlare dei primi film di Hou Hsiao-hsien e della nascita nella prima metà degli anni Ottanta della New Wave del cinema taiwanese, grazie all'attenzione che la sezione Fuori Orario di Raiplay (mutuata dall'omonima trasmissione notturna) tributa al lavoro del regista con una certa continuità. Qui è stato infatti possibile recuperare anche il suo The assassin, ultima sua opera a disposizione sulla piattaforma gratuita solo per un numero limitato di giorni.

Da quei primi film di Hsiao-hsien (Cute girl, The green green grass of home, I ragazzi di Feng Kuei) di acqua sotto i ponti ne è passata davvero molta e il cinema del regista risulta essere sia per temi che per estetica completamente diverso. The assassin è un'opera in prevalenza formale, dove la costruzione delle inquadrature, i movimenti di camera, la meraviglia che si apre su paesaggi di bellezza inarrivabile, il lavoro fatto con e dagli attori, superano di gran lunga l'importanza di una storia con pochi passaggi ma allo stesso tempo non così semplice da seguire (soprattutto se fruita in lingua originale), pur presentando questa qualche accenno di parallelo tra le situazioni in video e l'annosa questione politica tra Cina e Taiwan di cui già in passato abbiamo detto.

 

IX secolo, Cina, dinastia Tang. Il governo centrale retto dall'imperatore deve gestire gli screzi e i comportamenti di alcuni funzionari corrotti delle province periferiche, tra queste in particolare quelli della provincia Weibo. Per contrastare la corruzione è stato creato un ordine di assassini al servizio dell'impero dei quali fa parte Nie Yinniang (Shu Qi), una letale assassina tanto mortale quanto bella, taciturna ed elegante.

In seguito al mancato compimento di una delle sue missioni, interrotta per un moto di pietà, la monaca Jia Xin (Fang Yi-Sheu), una sorta di addestratrice e maestra per Nie Yinniang, costringe l'assassina a dedicarsi a un incarico proprio nella provincia di Weibo della quale Nie è originaria. Qui la ragazza avrà il compito di eliminare il signorotto ribelle Tian Ji'an (Chang Chen) con il quale il sicario vanta un rapporto di parentela e al quale in gioventù Nie Yinniang era stata promessa in sposa. Quel vecchio legame non si è però mai sopito nei ricordi e nel cuore di Nie Yinniang che ora si trova di fronte a un dilemma profondo: deludere ancora Jia Xin e l'ordine degli assassini o andare contro i suoi sentimenti e portare a termine un compito per lei volutamente ostico e doloroso?

 

Hou Hsiao-hsien si cimenta con un wuxia anomalo, nonostante l'epoca in cui il film è ambientato, le situazioni, i costumi e le dinamiche della vicenda riconducano al genere più tradizionale del cinema orientale, le sequenze d'azione in The assassin sono molto limitate, anche il classico incedere leggiadro e "svolazzante" dei guerrieri, tipico del wuxia, è qui limitato a pochissimi passaggi.

L'epica del gesto è spesso relegata agli sguardi, alla trazione dei moti interiori che riversano dagli splendidi occhi di una Shu Qi magnifica, una perla di rara eleganza. Per il resto il focus è tutto su una concezione formale per un film che dal punto di vista della messa in scena è semplicemente superbo, un contorno e una forma che eclissano la narrazione onestamente non così intrigante e nemmeno troppo chiara in ogni suo passaggio, ma poco importa, si guarda e si rimane a bocca aperta e ad occhi spalancati.

Formato quadrato, anacronistico, primi momenti in un bianco e nero vivido, profondo e di una bellezza ottundente, poi il colore del décor, le scenografie precise e ricercate, i costumi quasi iperrealisti nella loro magnificenza, la natura mozzafiato delle foreste di betulle, la leggiadria dei movimenti, dei corpi, della telecamera e, al di là della storia, non si vorrebbe mai smettere di guardare. Capolavoro di forma, miglior regia a Cannes, si sono viste narrazioni sicuramente migliori, però messe giù così davvero poche volte.