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REVIEWSLE RECENSIONI
24/06/2018
Buddy Guy
The Blues Is Alive And Well
The Blues Is Alive And Well esibisce lo stesso sfavillio tecnico e creativo dei predecessori, riconsegnandoci per l’ennesima volta un arzillo vecchietto che mette in riga tutti i suoi giovani scudieri

Mentre mi accingevo a poggiare le dita sulla tastiera del pc, riflettevo sul fatto che scrivere una recensione su un disco di Buddy Guy è forse la cosa più facile al mondo, un po' come rapinare un pensionato fuori le Poste o prendere a schiaffi un bimbetto per sottrargli un pacchetto di caramelle.

E questo non certo perché il sottoscritto possieda straordinarie competenze tecniche, ma semplicemente per il fatto che basterebbe la Storia, quella con la S maiuscola, a fare il grosso del lavoro e a scrivere in mia vece. Basterebbe, infatti, raccontare, ma solo un po’, senza nemmeno dilungarsi troppo, chi è questo signore che ha letteralmente inventato la chitarra rock nel blues, che è stato il nume tutelare e la guida stilistica di artisti del calibro di Eric Clapton, Jeff Beck, Keith Richards, per portare a termine l’articolo e guadagnare la pagnotta.

D'altra parte, tutti i fans di Guy, o anche solo chi ama il blues e una chitarra suonata come Dio comanda, non perderebbero mai tempo a leggere una recensione così ovvia. Il disco di uno che ha fatto il chitarrista per Muddy Waters (qui ricordato in una incandescente Cognac) e Howlin' Wolf, che ha vinto sei Grammy Awards, che ha pubblicato capolavori come Hoodoo Man Blues (1965) con Junior Wells e Stone Crazy! (1981), infatti, non si legge, si compra a scatola chiusa.

Quindi, questa prolusione, queste parole e tutte quelle che seguiranno sono assolutamente inutili. E lo sono ancora di più se avete avuto modo di ascoltare gli ultimi lavori in studio del nostro guitar hero (Rhythm & Blues del 2013 e Born To Play Guitar del 2015), perché saprete esattamente cosa aspettarvi da questo nuovo The Blues Is Alive And Well.

E’ vero che sono passati tre anni dalla sua ultima fatica, e che alla soglia degli ottantadue (Buddy li compirà il prossimo 30 luglio), un triennio è un lasso di tempo così lungo che sarebbe potuto accadere qualsiasi cosa. Eppure Guy è vivo e in salute come il blues che celebra in queste quindici bellissime canzoni, pervase da una vitalità così esuberante da apparire assolutamente inconciliabile con le derive esiziali della vecchiaia.

Oggi, coloro che avevano nutrito dei dubbi sulla tenuta artistica di Guy, non possono far altro che ricredersi, mentre chi aveva, invece, coltivato la propria inesauribile fede nel potere taumaturgico del blues è stato premiato con l’ennesimo, bellissimo disco.  The Blues Is Alive And Well esibisce, infatti, lo stesso sfavillio tecnico e creativo dei predecessori, riconsegnandoci per l’ennesima volta un arzillo vecchietto che mette in riga tutti i suoi giovani scudieri, e che non si limita a farci sentire che come la suona lui nessun altro è in grado, ma all’occasione sa pure mostrare i muscoli, mulinando la Stratocaster come una durlindana (il boogie travolgente di Ooh Daddy).

Accompagnato da un pugno di musicisti con i contro cazzi (Rob McNelley alla chitarra, Kevin McKendree alle tastiere e Willie Weeks al basso) e omaggiato da ospiti di lusso (Keith Richards, Mick Jagger, James Bay e Jeff Beck), Guy sciorina tutto il suo repertorio, che guarda all’essenza di un suono (la scarna e conclusiva Milking Muther For Ya), che accarezza le porte della notte (Blue No More), e che sa divertire, in una miscela esplosiva di tecnica e ardore, come nello swing sfrenato di Guilty As Charged.

Nient’altro da aggiungere, se non, visto il titolo del disco, la più scontata delle ovvietà, e cioè che il blues e Buddy Guy godono entrambi di ottima salute. Conclusione banale per una recensione inutile su un disco suntuoso.