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REVIEWSLE RECENSIONI
17/02/2023
Ahab
The Coral Tombs
Cupo e inquietante, il nuovo disco dei tedeschi Ahab rilegge, in chiave funeral doom, il capolavoro di Jules Verne, Ventimila Leghe Sotto i Mari.

La premessa è d’obbligo: se siete allergici ai dischi lenti, pesanti e tristi, e se non amate il metal, qui proposto nella sua accezione doom, il consiglio è di saltare questa recensione e passare ad altro; se, invece, siete attratti dall’estremo oppure semplicemente curiosi di misurarvi con una musica ostica alle orecchie dei più, è probabile che The Coral Tombs, nuova fatica dei teutonici Ahab, possa farvi davvero svoltare il mese.

Perché a prescindere dall’evidente bizzarria della proposta del gruppo tedesco, i motivi di interesse sono davvero molti. Sia a cagione della smisurata passione del cantante Daniel Droste per il mare, tema principale delle liriche di tutti i dischi pubblicati finora dalla band, sia per gli intenti di divulgazione letteraria che stanno alla base del progetto, grazie ai quali gli Ahab coniugano musica e letteratura, incuriosendo il lettore verso letture di grande suggestione.

Così, dopo aver creato straordinari concept album di funeral doom basati su romanzi di Herman Melville (l'esordio The Call of the Wretched Sea e il suo seguito The Divinity of Oceans), Edgar Allen Poe (The Giant) e William Hope Hodgson (The Boats of Glen Carrig), era probabilmente inevitabile che la band affrontasse un capolavoro come 20000 Leghe Sotto i Mari di Jules Verne, un romanzo che, se letto da bambini, crea un fantasioso immaginario di calamari giganti assassini e vortici inarrestabili, che dura tutta la vita.

Un romanzo avventuroso e al contempo spaventoso, che si chiude nei gorghi del terribile Maelstrom, e che gli Ahab hanno trasformato in una musica capace di evocare quel terrore crescente in un incubo al rallentatore, che scandaglia nuove profondità di pesantezza e orrore. Più che in qualsiasi altro album precedente, The Coral Tombs rifluisce, scorre, si agita e avviluppa con tutta la potenza dell’inesausto movimento oceanico.

Lente ai limiti della narcolessia e talvolta pesanti, queste canzoni sono tra le più potenti che i tedeschi abbiano mai registrato.

La discesa nell’abisso inizia con "Prof. Arronax' Descent Into The Vast Oceans" (il professor Arronax è uno dei protagonisti del romanzo di Verne), porta d’ingresso sorprendente per questa fantasticheria nautica. Le urla angosciate di Droste, evocano l’incubo che, però, presto si dissolve in una quieta eleganza acustica, prima di esplodere in una nuova ondata travolgente, che tutto consuma. La voce di Droste, sia nel growl che nelle parti pulite è sempre melodrammatica e sopra le righe, e il cantante veste i panni di un narratore fantasma nascosto nella nebbia dell'oceano. Violenza e melodie carezzevoli si fondono verso la conclusiva dissolvenza, dando vita a un episodio maestoso, potente e inquietante.

Decisamente più contenuta per gli standard degli Ahab, "Colossus Of The Liquid Graves" è quanto di più vicino a una semplice canzone metal troverete in scaletta, ma non c’è nulla di ordinario, il mood è nuovamente inafferrabile, le suggestioni virano ancora verso l’inquietudine. Dopodiché, The Coral Tombs flette davvero i suoi muscoli legati alla vorticosa potenza del mare, espandendosi con abbandono psichedelico attraverso le tempeste polverizzanti e le scintillanti oasi di "Mobilis In Mobili", e le atmosfere glaciali e post-rock di "The Sea As A Desert".

I dieci minuti della title track combinano tensione e soavità, mentre l’ampio spettro dell’imponente "Aegri Somnia" suona come un epico omaggio al magma oceanico incombente e minaccioso.

L’inevitabile chiosa intitolata "The Maelstrom" è al contempo onirica e devastante, esattamente come evoca il titolo: i riff muscolari ma intricati degli Ahab si disintegrano in uno sprofondo sbalorditivo, mentre l'oceano, che è focus del brano, turbina e soffoca, avviluppando tutto.

The Coral Tombs è un disco ostico, faticoso, il cui ascolto implica un vero sforzo sensoriale: da ascoltare in cuffia, a occhi chiusi, e immaginare la vastità del mare, percepirne gli odori, lambirne la salmastra superficie. Se lo scopo era evocare le terrificanti fantasie di Jules Verne, il risultato è centratissimo: da un lato, la quiete sconfinata dell’oceano, il solenne sciabordio delle acque, l’immensità di orizzonti che spingono lo sguardo verso l’infinito; dall’altro, le profondità dell’abisso e i limacciosi fondali, il buio che ghermisce e il pericolo che incombe in ogni anfratto. Spiritualità e orrore, la maestosità della natura, che consola, certo, ma sa anche uccidere. Fascinoso, ma non per tutti.