Che ne è stato di tutte le persone che conoscevo? In un certo senso erano tutte lì, al Legend, con l’indice al cielo. Perché i Get Up Kids sono un affare di famiglia, perché Something To Write Home About è l’album fotografico che si sfoglia alle cene dopo qualche bicchiere, per piangere sorridendo, con i figli che non ci riconoscono nelle foto, così magri e sorridenti.
La serata parte con Vinx, ovvero il nuovo progetto solista del cantante dei Vanilla Sky, che fa valere le sue qualità di veterano pop punk, con una serie pezzi molto melodici e ben scritti, in linea con le cose più note della sua band. È evidentemente un fan dei Get Up Kids, lo si capisce da quello che racconta, e mi fa piacere che ad aprire ci sia lui. Il bassista sfoggia un basso stupendo, che poi scopro esser stato lui stesso a realizzare.
Esco a farmi una Guinness durante il cambio palco, certo di poter tornare poi alla mia posizione in terza fila sulla destra. Illuso, al rientro il Legend, sold out, è diventato un muro di corpi di quarantenni carichi e già sudati. Il mood è quello giusto per la serata, il concerto lo vedrò però dal fondo, poco male.
I “ragazzi” si presentano sul palco quasi in orario e partono carichissimi con Suptic che ci dice qualcosa tipo “Siamo i Get Up Kids da Kansas City e non c’è assolutamente nessun altro posto al mondo in cui vorremmo essere”, scivolata di plettro su corda distorta e riff di “Holiday”. Via! Il suono all’inizio non convince del tutto, chitarre basse e voce fuori, probabilmente anche per via della massa clamorosa di gente davanti a me. Si sistemerà poi, per diventare impeccabile. L’energia è al massimo, pubblico carichissimo e band che non può essere da meno.
Come previsto dal copione di un anniversario, trattandosi dei 25 anni di Something To Write Home About, il disco viene suonato didascalmente dal primo all’ultimo pezzo, tutto, nell’ordine corretto. Questo comporta che le hit principali, di un disco di sole hit, siano compresse nella prima mezzora, il che genera un godimento estremo e rapido nella prima parte e un pochino di stanca nella seconda, siamo un po’ tutti quarantenni qui!
Dopo “Action&Action” Matt chiede al fonico più voce che in spia che il pubblico caldissimo lo sovrasta. In quel momento dal pubblico, un amico svedese urla, parole testuali: “Benvenuto a Milano, bitch!”. Molto bene.
“Valentine” e “Out of reach” sono ovviamente l’apice della serata, e la voce di Pryor è un tutt’uno col pubblico, che ha avuto del resto 25 anni per prepararsi e non tradisce. La parte sfolgorante si completa con “10 minutes”, in cui è un Suptic rubicondo, nella sua t-shirt degli Specials sotto la giacchetta, a far la parte del leone.
Solita menzione necessaria per una sezione ritmica che è esattamente come dovrebbe essere, e (questa è per coloro che stanno leggendo e che si identificano con la categoria dei suonatori) non è affatto roba da poco. Peraltro le chitarre non vengono mai cambiate, ci sono veramente pochi fronzoli, i suoni sono però curati, ci sono molto gusto e molta maestria, la classe non è acqua e nemmeno l’esperienza.
"Dime", "Apology", "Dottie", "Long good night", "closetohome", "Catch"… il disco viene portato a termine, cantato da quasi tutti, sudato da tutti, Bellissimo, band generosa, pubblico fedele.
Esaurite le tracce, la band va a prendere una boccata d’aria e noi li aspettiamo per un encore che è in realtà quasi un secondo concerto, ben otto brani attinti dal resto della discografia. Pezzi forti senz’altro la “Campfire Kansas” acustica a cura di Mr Suptic, con cui viene attaccata la seconda parte, e “Shorty”.
Leggende punk, emo, alt, c’è chi avrebbe da ridire e da sindacare per giorni su generi e appartenenze, per quanto mi riguarda questo è semplicemente indie rock nella sua forma migliore, e vorrei un mondo un po’ più a forma di Get Up Kids.
Abbracci, lacrime, sudore, ritorno rapido alla vita normale, che domani è lunedì e abbiamo tutti lavori e doveri. I’m not fully convinced, there’s something wrong with this.