Torniamo a stretto giro al cinema scandinavo dopo aver da poco parlato dell'ottimo Sick of myself del norvegese Kristoffer Borgli; questa volta ci spostiamo in Svezia per occuparci del film d'esordio dell'oggi molto apprezzato Ruben Östlund, regista originario di Göteborg che ambienta questo suo primo lungometraggio nella fittizia Jöteborg, versione alternativa della sua città natale.
Le reazioni a questo The guitar mongoloid sono state da subito contrastanti, la fama del regista e l'apprezzamento che molta critica oggi gli tributa è arrivato solo col tempo grazie soprattutto alle opere successive siglate dal regista svedese; a oggi sullo scaffale della cameretta di Östlund brillano già due Palme d'Oro (The square e Triangle of sadness), un premio della giuria nella sezione Un Certain Regard di Cannes (Forza maggiore) e un David di Donatello (The Square).
Anche per questo The guitar mongoloid, sul quale la critica si è mostrata più divisa, è comunque valso al regista qualche riconoscimento, come ad esempio il premio FIPRESCI al Festival di Mosca del 2005. Esordio non semplice e anti narrativo questo The guitar mongoloid, che può essere visto come un collage di suggestioni atipiche e laterali che compongono una sinfonia storta di una cittadina abitata da gente che adotta comportamenti strani e gente "normale", che sembra non accorgersi o non curarsi degli appartenenti alla prima categoria.
Il film inizia con una serie di immagini televisive che pian piano si sfocano, presentano disturbi; sul tetto di un condominio un ragazzino si diverte a cambiare l'orientamento di tutte le parabole impedendo la ricezione del segnale ai condomini, un comportamento reiterato di disturbo assolutamente immotivato. Seppur ripreso da lontano il fatto che il ragazzo porti una camicia a scacchi rossi e neri e che porti sulle spalle la custodia di una chitarra lascia presupporre che lo spettatore si trovi di fronte alle prime imprese del "guitar mongoloid" a cui il titolo fa riferimento e che troveremo più volte nel corso del film.
Stacco, si passa a una signora affetta apparentemente da qualche disturbo comportamentale che in maniera ossessiva continua a girare una chiave nella toppa della porta di casa affermando più e più volte "questa è l'ultima volta".
Il film procede poi di questo passo con stacchi continui su personaggi diversi: due idioti un po' brilli in uno scantinato passano il tempo... beh, facendo gli idioti. Un gruppo di giovani ragazzi si prodigano nel trovare nuovi modi per accanirsi sulle biciclette che capitano loro a tiro vandalizzandole.
Il chitarrista di cui sopra intrattiene uno strano rapporto con quello che sembra a tutti gli effetti essere per lui una sorta di figura paterna, altrettanto fulminata quanto lui. Tre ragazzi tentano una roulette russa casalinga con esiti per fortuna non sanguinosi. Episodi con questi e con altri protagonisti si alternano e costruiscono l'ossatura di questo The guitar mongoloid.
Guardando The guitar mongoloid mi è venuto alla mente il Trash humpers di Harmony Korine, film dalla struttura simile (ma non uguale) che comunque non può esser stato riferimento per Östlund in quanto successivo a questo. C'è da dire che la differenza tra le due pellicole risiede nel fatto che Östlund, quanto meno qui, non cerca di provocare o disturbare lo spettatore, almeno questa è stata la percezione avuta da chi scrive, in alcune sequenze il regista riesce anche a farci sorridere, caratteristiche queste che mi hanno fatto preferire The guitar mongoloid a Trash humpers.
Nel complesso tutto ciò non è sufficiente per poter consigliare la visione di un film molto slegato che nelle intenzioni, forse, questo è molto difficile da affermare con certezza, vuole mostrarci il degrado e la mancanza di prospettive di una parte di cittadinanza in una fittizia città svedese, o forse l'indifferenza verso queste persone da parte della restante fetta di popolazione che qui assume una funzione del tutto spettatoriale.
Detto questo, prendendo per buona la volontà del regista nel trasmetterci qualcosa, non rimane poi molto di interessante nella costruzione del film. Mezzi poveri, camera quasi sempre fissa, nessuna sceneggiatura di stampo narrativo, qualche momento un po' più apprezzabile e una bella sequenza finale perfettamente riuscita con un minimo sforzo.
The guitar mongoloid presenta un quadro al quale non viene affibbiato un giudizio, una visione straniante di una società altra in un film indipendente consigliato solo agli appassionati di questo tipo di cinema. Per gli altri la noia potrebbe sopraggiungere dopo poche sequenze.