Difficile trovare un artista che sia prolifico come Steven Wilson, un musicista che, dal lontano 1991, anno in cui ha iniziato a pubblicare sotto il marchio di fabbrica Porcupine Tree, ha inanellato una ponderosa serie di album, sia con la casa madre che da solista, ha dato vita a progetti paralleli (No Man, Blackfield, etc.), a collaborazioni e produzioni, che fare il conto di tutto è praticamente impossibile. Una congerie di opere, forse non tutte allo stesso livello qualitativo, ma che testimoniano l’immenso e onnivoro talento di un uomo, la cui vena artistica pare inarrestabile e inesauribile.
Il nuovo album, The Harmony Codex, arriva a due anni dall’ottimo The Future Bites, che era pronto per essere pubblicato nel 2020, ma è stato rinviato a causa del lockdown all’anno successivo per allinearsi con un tour, che alla fine non si è mai svolto. Poi è arrivata la sorpresa, dopo ben tredici anni, di un nuovo album e di un tour dei Porcupine Tree, uno sorta di fulmine a ciel sereno che aveva messo in subbuglio i fan del songwriter inglese, felici di avere per le mani nuovo materiale di una band che ha scritto la storia più recente del progressive rock.
Cosa aspettarsi, dunque, da Wilson e da un disco nato e concepito durante il periodo buio della pandemia, prima ancora che fosse pubblicato The Future Bites? Esattamente quello che ci si può aspettare da un artista poliedrico e aperto a ogni tipo di sperimentazione: totale libertà espressiva. The Harmony Codex, in tal senso, è pura avventura sonora priva di vincoli formali, è un'incredibile sintesi di molti elementi e stili che Wilson ha frequentato nella sua lunga carriera. Un grande dipinto, in cui confluiscono diversi colori e diverse pennellate, eppure, nonostante ciò coeso, organico e affascinante. C’è il pop, l’elettronica, il progressive, echi del Wilson solista e dei Porcupine Tree, chitarre elettriche e campionamenti, momenti cupi e malinconici, ma anche ritornelli e ganci melodici che si mandano a memoria immediatamente.
I primi due minuti e quaranta della traccia di apertura, "Inclination", aprono con sonorità ambient ed elettroniche, con influenze sonore mediorientali ed echi gabrielliani, seguiti, poi, da circa 5 secondi di puro silenzio e dalla voce di Wilson che prosegue la narrazione, ampliando il respiro melodico dell’incipit sulla base di minimale tappeto di tastiere e di una ipnotica ritmica molto eighties. L’inclinazione verso la totale libertà sonora cresce man mano che strati di suono vengono aggiunti al ritmo programmato sottostante, incluso un assolo di chitarra molto efficace del chitarrista slovacco David Kollar.
E poi, immediatamente dopo, una svolta inaspettata. Se il primo brano era svincolato dalla forma canzone, il successivo "What Life Brings" rientra in un alveo di normalità, scarta dalla sperimentazione, per abbracciare una melodia uncinante e creare una ballata che fonde mirabilmente Tears For Fears, intrecci vocali che pagano debito alla west coast dei CS&N e un incredibile assolo di chitarra che si muove per territori floydiani.
"Economies of Scale" è una ballata malinconica e cupa, avvolta da spirali elettroniche nel cuore della notte, una carezza dolcissima prima della successiva tempesta sonora che prende il nome di "Impossible Tightrope", quasi undici minuti in cui convivono prog rock, psichedelia, jazz ed elettronica, un sali scendi emotivo trainato dallo straordinario drumming di Nate Wood e attraversato dalle coltellate del sassofono crimsoniano suonato da Theo Travis.
Se il focus dell’album, come dicevamo, è la totale libertà espressiva, non stupisca allora che la successiva "Rock Bottom" cambi completamente registro, spingendo l’ascoltatore nelle trame vellutate di una ballata notturna e malinconica, segnata dalla voce espressiva e leggermente roca di Ninet Tayeb (anche autrice del brano) che duetta con Wilson. La forza di questa canzone, oltre che nella melodia, risiede nell’uso delle due voci davvero molto creativo, che si incontrano, si separano, si sovrappongono, per poi lasciar spazio all’assolo di chitarra più bello dell’album (non è Wilson ma Niko Tsonev).
"Beautiful Scarecrow" è l’ennesima immersione nell’elettronica, mentre i nove minuti della title track richiamano nuovamente il prog, attraverso un arpeggio ipnagogico che evoca i Genesis in un ipnotico tintinnare, sotto il quale si gonfiano lentamente morbide stratificazioni sonore.
"Time Is Running Out" fonde mirabilmente pianoforte ed elettronica, le voci trattate e rallentate sono fascinose, la melodia suadente, il background evidentemente prog. "Actual Brutal Facts" è oscura e labirintica, i suoni di chitarra sono bellissimi, il cantato quasi rap, l’assolo schizofrenico di Dave Kollar da applausi. Chiudono i nove minuti abbondanti di "Staircase", forse il brano più wilsoniano dell’album, in cui ancora una volta il lavoro alla chitarra di Niko Tsonev è di ottima fattura, così come lo sono la performance allo stick bass di Nick Beggs e quello di moog di Adam Holzman.
The Harmony Codex è un avventuroso viaggio sonoro che potrebbe perplimere gli ascoltatori più superficiali. Durante questo viaggio, infatti, si ascoltano molti musicisti, molti suoni, voci e trame complesse e diverse tra loro, e si toccano territori inaspettati, a cui i fan dei Porcupine Tree non sono propriamente adusi. Ma i ripetuti ascolti permettono di approfondire e capire, di cogliere il genio di un artista che rifugge a ogni catalogazione e sa essere interessante ed emozionare qualunque cosa faccia.