Cerca

logo
REVIEWSLE RECENSIONI
22/01/2025
Franz Ferdinand
The Human Fear
In The Human Fear, i Franz Ferdinand uniscono sapientemente vecchie influenze e nuove sperimentazioni, dando vita a un disco profondamente umano, imperfetto e vitale. Non sarà forse il capolavoro che li ridefinisce, ma è sicuramente un’opera che aggiunge nuove sfumature a una carriera già ricca di colori.

Nonostante la vulgata tenda a sostenere il contrario, i Franz Ferdinand non hanno mai avuto troppa paura ad allontanarsi dal sound che li ha resi famosi oltre vent’anni fa con il disco di debutto omonimo. You Could Have It So Much Better aveva delle forti influenze folk, Tonight flirtava con la club music, Right Thoughts, Right Words, Right Action aggiungeva sfumature più vivaci al post-punk delle origini, mentre Always Ascending (forse il loro album più debole) lambiva territori disco.

 

A tre anni dalla raccolta Hits to the Head e dopo alcuni significativi cambi di formazione (nel 2021 Audrey Tait ha sostituito il batterista Paul Thomson, mentre nel 2017 il tastierista Julian Corrie e il chitarrista Dino Bardot avevano preso il posto di Nick McCarthy) ci si accosta a The Human Fear, il sesto album dei Franz Ferdinand, con la sensazione tangibile di una tensione tra passato e presente. Da una parte, l'urgenza di vivere il momento attuale, dall'altra, l’eco di un passato glorioso che rischia di diventare un fardello. Diciamolo subito: The Human Fear rappresenta una presa di posizione chiara. È l'opera di una band che, senza rinnegare il proprio passato, sceglie di guardare al futuro con audacia, sperimentando musicalmente ed esplorando tematiche profonde come il significato di vivere nella contemporaneità, nell’era della paura.

 

 

Fin dall’iniziale “Audacious”, si avverte un cambio di registro rispetto al passato recente del gruppo. Alex Kapranos canta con quella che potremmo definire un’audacia riflessiva, un’invitante contraddizione che emerge dalla giustapposizione tra un riff di chitarra alla Strokes e un coro che è puro glam pop alla Mott The Hopple – impossibile non riconoscerci “All the Young Dudes”, hit dei Mott the Hoople scritta da David Bowie, che, messa in apertura, funge da dichiarazione di intenti per il resto dell’album. È qui che troviamo il cuore pulsante di The Human Fear: un’esplorazione della vulnerabilità come forza. Non si tratta più dell’edonismo sfrenato di Take Me Out, ma di un’umanità che accoglie le sue crepe e ne esplora le ombre.

 

L’album è, a suo modo, un concept sui timori umani, come suggerisce il titolo stesso. Le paure di cui Kapranos canta sono molteplici e profondamente radicate nella quotidianità: la solitudine alienante di “Bar Lonely”, dove «nessuno conosce il tuo nome», è contrapposta alla dolce introspezione di “Everydaydreamer”, che affronta il tema della memoria come specchio fallace della propria identità. Laddove in passato la musica dei Franz Ferdinand era definita da un certo machismo ironico, qui emerge una sincera apertura emotiva.

 

Non tutte le scommesse, però, risultano vincenti. “Black Eyelashes”, con le sue influenze rebetiko e un bouzouki che risuona come un richiamo alle radici greche di Kapranos, oscilla pericolosamente tra l’evocativo e l’eccessivo. Tuttavia, il rischio è un elemento essenziale di questo progetto: i Franz Ferdinand non vogliono giocare sul sicuro e, anche nei momenti meno riusciti, dimostrano una vitalità creativa che raramente si incontra in una band con oltre vent’anni di carriera.

 

 

Musicalmente, The Human Fear è un album che combina vecchio e nuovo con rara maestria. Se brani come “Hooked” e “Build It Up” recuperano il brio ritmico degli esordi, è nelle divagazioni più audaci che si trova il vero cuore del disco. “Night or Day” è costruita su un irresistibile ostinato di pianoforte alla ABBA, mentre “Tell Me I Should Stay” è un collage sonoro che mescola pianoforti classicheggianti, tappeti di synth, accenni reggae e cori degni dei Beach Boys, dimostrando come la band sia capace di reinventarsi senza rinnegare le proprie radici.

 

Insomma, il punto di forza dell’album è proprio questa capacità di bilanciare leggerezza e introspezione. Dal punto di vista dei testi, il lavoro fatto da Kapranos (che in passato non si è mai distinto particolarmente come paroliere, diciamo la verità) merita un plauso. In brani come “Night or Day” celebra i piccoli drammi della vita domestica, mentre “Audacious”, con il suo invito a “non smettere di sentirsi audaci”, è un inno alla resilienza che potrebbe diventare un nuovo manifesto per questi Franz Ferdinand 2.0.

 

Quello che emerge dalle 11 canzoni è il ritratto di una band che si rifiuta di essere imprigionata dalle aspettative e dal proprio glorioso passato. È vero, The Human Fear non è un album perfetto, ma è – nel bene e nel male – profondamente umano. I Franz Ferdinand si mostrano più vulnerabili, più riflessivi, ma anche più vivi che mai, ed è proprio questa umanità imperfetta a rendere l’album un’esperienza speciale. Non sarà forse il capolavoro che li ridefinisce, ma è sicuramente un’opera che aggiunge nuove sfumature a una carriera già ricca di colori.