Nel novero delle amazzoni che si muovono nel circuito rock blues a stelle e strisce, oltre ai soliti nomi che riempiono le pagine delle riviste specializzate (Layla Zoe, Beth Hart, Tasha Taylor, Samantha Fish, Ali Handal, etc), merita una menzione anche la meno nota Sue Foley.
Canadese di Ottawa, ma da tempo di stanza in Texas, Sue pur non avendo il ritorno mediatico delle artiste poc’anzi citate, vanta una carriera ormai più che ventennale, avendo alle spalle una quindicina di dischi, il primo dei quali rilasciato per la Antone’s (la storica etichetta texana), addirittura nel 1992. In tutto questo tempo, la Foley si è costruita una reputazione di musicista seria e preparata, che le è valsa, tra l’altro, svariate collaborazioni con personaggi leggendari della scena blues americana (Lazy Lester, la compianta Candye Kane, Big Dave McLean, etc.).
The Ice Queen, undicesimo full lenght della sua carriera (e primo con la sua nuova etichetta Stony Plain Records)conferma, se mai ce ne fosse bisogno, il talento di questa ormai cinquantenne chitarrista, il cui approccio al genere è connotato da un’incredibile preparazione filologica. Non è un caso, quindi, che a produrla sia Mike Flanigin, vero e proprio guru dell’hammond (ha suonato anche con Eric Clapton), e che ad accompagnarla in studio ci sia un cast di eccezione capitanato dal batterista Chris Layton (che suonava con i Double Trouble di Stevie Ray Vaughn) e un trio leggendario di chitarristi texani composto da Charlie Sexton (che è stato anche il chitarrista di Dylan tra il 1999 e il 2002), Billy Gibbons (ZZ Top) e Jimmie Vaughn.
Nella musica di Foley non c’è trucco e non c’è inganno: questo blues è scarno ed essenziale, il suono è clamorosamente vintage, la produzione è asciutta e senza fronzoli, la sua voce scorbutica somiglia a quella di Lucinda Williams, e la sua chitarra, icastica e incisiva, dispensa grandi riff e brevi, ma efficacissimi assoli. Il duetto con Charlie Sexton in Come To Me, blues cadenzato che apre il disco, testimonia la sincerità che ispira l’intero disco, la travolgente Run è un numero grezzo e selvaggio alla The Fabulous Thunderbirds, l’interpretazione di Send Me To The ‘Lectric Chair, un brano di Bessie Smith del 1927, è coraggiosa (ascoltare l’assolo di chitarra, please!), pimpante e sanguigna. Gli artifici stilistici, se interessano, li potete trovare altrove, perché nelle dodici canzoni in scaletta ci sono solo, si fa per dire, passione, sostanza e sudore.
Meritano una menzione anche il groove irresistibile di Gaslight, reso scintillante da un ficcante arrangiamento di fiati, il duetto con Jimmie Vaughn nel blues swingato The Lucky Ones, supportato da un micidiale lavoro all’hammond di Mike Flanigin, e la malinconica ballata Death Of A Dream, in cui la Foley, su un tempo jazzy “spazzolato” da prova di grande eleganza e di indubbia tecnica anche alle prese con la chitarra acustica. Acustica, che torna anche nelle conclusive The Dance, brano dagli echi flamenco, decisamente poco in linea con il mood del disco, e in Cannonball Blues, canzone datata 1936, a firma The Carter Family, in cui Sue sfoggia un brillante fingerpicking.
Disco classicissimo, consigliato a chi ama il blues nella sua accezione più ortodossa e meno contaminata.