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REVIEWSLE RECENSIONI
18/07/2025
Forth Wanderers
The Longer This Goes On
I Forth Wanderers riemergono dopo un lungo silenzio per raccontare storie di desiderio e amore, facendo i conti col proprio lato fragile. The Longer This Goes On è ispirazione per spingere i sogni a spaziare ancora più in avanti nel futuro .

In un’epoca in cui i canali d’informazione sono tanti, diffusi e capillari, è quasi impossibile rimanere sorpresi dall’annuncio di un nuovo disco. The Longer This Goes On rappresenta quindi un’eccezione. Il nuovo capitolo della vita artistica dei Forth Wanderers (con questo titolo dalle molteplici sfaccettature, tra le quali una possibile chiave di lettura relativa alle vicende della band) arriva completamente inatteso.

Il quintetto originario di Montclair, New Jersey, composto da Ava Trilling (voce), Ben Guterl (chitarra), Duke Green (chitarra), Noah Shifrin (basso) e Zach Lorelli (batteria) incarnava infatti la realizzazione del piccolo grande sogno di chiunque cominci a suonare uno strumento: una band formata negli anni del liceo, che con la propria musica si è fatta conoscere fino a pubblicare due album in studio e varie altre uscite tra il 2014 e il 2018.

La loro attività, che gradualmente si era intensificata partendo dalla dimensione dei già impegnativi tour all’insegna del DIY, si è dovuta arrestare alla vigilia del lancio del secondo LP di fronte alle difficoltà personali di Ava Trilling. Lei stessa avrebbe avuto modo, tempo dopo, di descrivere con lucida onestà le proprie problematiche di agorafobia e stress, coraggiosamente esposte in un articolo su Vice.

 

La band è entrata quindi in uno iato indefinito durante il quale i singoli membri hanno continuato i propri studi, finché (lontano dall’occhio del grande pubblico) la stessa Ava Trilling e Ben Guterl, il duo di songwriter, si sono incontrati un pomeriggio del 2021. Dopo una lunga e franca chiacchierata, i due hanno deciso di riprendere il lavoro insieme, coinvolgendo anche gli altri, scrivendo e suonando nuova musica, ma senza impegno e senza costrizioni di tempo e risultati,.

C’era un fuoco da riaccendere, tanta musica ed emozioni da esprimere e (probabilmente) anche discorsi interrotti da proseguire e sui quali arrivare a un chiarimento. E allora ecco che cinque persone ormai adulte - prendendosi il tempo che serviva - sono riuscite a ritrovarsi, con un rinnovato spirito e l’energia dei progetti che ripartono.

I Forth Wanderers hanno quindi intrapreso questa nuova avventura, sperimentando anche diversi metodi di lavoro, incluso un approccio collettivo nella fase compositiva. Non sapevamo ovviamente che tutto questo stesse avvenenendo, ed ecco quindi spiegata la sorpresa all’annuncio del nuovo disco.

A giudicare dai commenti sui social, la band aveva lasciato un buon ricordo a non pochi fan; e la loro e la nostra curiosità nelle scorse settimane è stata stuzzicata da tre brani, scanditi nel tempo in altrettante anticipazioni, che hanno segnato le tappe di avvicinamento alla pubblicazione effettiva dell’album, ora disponibile nella sua interezza.

 

“To know/to love me”, è stato il primo brano a circolare in anteprima e appare anche come prima traccia dell’LP. Sound e voce confermano l’identità che i Forth Wanderers avevano cesellato nelle precedenti opere. Le chitarre si incaricano di condurre il pezzo con un ritmo lento e incalzante; nel loro incedere la voce di Ava Trilling si inserisce, quasi chiedendo permesso, trepidante fino a dare l’impressione di soccombere, sommersa da arpeggi ipnotici, salvo poi riemergere nel finale per chiudere il brano con piglio autorevole, nel tipico oscillare tra forza e fragilità che la vocalist è capace di trasmettere anche all’interno dello stesso brano.

La voglia di sperimentare con le sonorità e le atmosfere è percepibile nei successivi brani in scaletta. “Call you back” si regge su un brillante ritmo a fare da trama prima della sua deflagrazione finale, mentre in “Honey” il riverbero della chitarra e il cantato languido sembrano volerci sedurre e attrarre verso una conversazione più intima con Ava.

A seguire arriva “7 Months”, anche questa lanciata settimane prima come anticipazione dell’album, dove un ritmo vivace rende meno gravoso un testo giocato sull’attesa e i sentimenti lasciati in sospeso. Nell’eloquente video che correda questo brano, vediamo Ava Trilling, chiusa nella sua stanza straripante di strumenti musicali, che infila una videocassetta appena ricevuta nel suo lettore/tv (il vintage si associa sempre bene col rock) e ha modo di vedere sullo schermo se stessa che si esibisce di nuovo dal vivo su un palco con la sua band.

In “Springboard” la prospettiva cambia ed è la cantante stavolta a rivolgersi esplicitamente a chi la osserva. Non sembra chiedere il suo giudizio, ma cercare di capire meglio cosa viene percepito di lei.

 

“Split” e “Make me” sono episodi in cui la band rielabora atmosfere reminiscenti del blues, mentre “Barnard” arriva come una scossa a proporre un cambio di passo e una tensione diversa rispetto alle tracce precedenti. È soprattutto in brani come questi che possiamo apprezzare la qualità della band nel confezionare pezzi musicalmente validi e la voce conturbante di Ava Trilling. Suo il merito di saper raccontare il proprio mondo interiore ed evocare desideri e bisogno d’amore senza celare il lato fragile.

“Bluff” è il più recente estratto dall’album. Su un tappeto sonoro in stile jazz la cantante rimane in equilibrio sul filo delle emozioni, nell’indecisione tra nascondere i propri sentimenti e il timore di diventare troppo leggibile e vulnerabile nel mostrarli.

Il lavoro si chiude poi significatimente su “Don’t go looking”: la protagonista parla dei processi di guarigione e invita a non cercare troppo lontano, perché quello che c’è e quello che serve si trova dentro di noi. Ancora una volta affiora il coraggio di guardarsi e scegliere di elaborare i propri timori anziché farsene fagocitare.

 

Alla fine dell’ascolto si rimane affascinati dalle atmosfere minimali ma di estrema intensità emotiva. La capacità di questa band di coniugare una tale forza narrativa con un’apparente semplicità nella forma espressiva è un dono raro e prezioso. Ci si sente come dopo aver sfogliato un loro album di istantanee di vita quotidiana in una giornata piovosa.

Non sappiamo ancora se e come i Forth Wanderers continueranno a raccontare del loro bisogno di desiderare e amare. A noi piacerebbe se una band formata negli anni del Liceo potesse continuare a sognare, perché in fondo era anche il nostro sogno.