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REVIEWSLE RECENSIONI
01/03/2024
Bruce Dickinson
The Mandrake Project
Quando il cantante della band heavy metal più storica e famosa del mondo torna alla carriera solista, quasi vent’anni dopo “Tyranny Of Souls”, prima di un tour primaverile/estivo che toccherà anche l’Italia, possiamo sicuramente dire che sia uno degli eventi musicali più importanti del 2024. Ma “The Mandrake Project” vale la pena di tutta questa attesa? Venite a scoprirlo.

«Abbiamo cominciato a lavorare su “The Mandrake Project” nel 2014, quando ancora non aveva questo titolo. Ha avuto il tempo di crescere e maturare e, dio se lo ha fatto! Penso che sarete molto esaltati e spero che possiate amare tutto ciò che abbiamo creato per voi» (Bruce Dickinson)

 

Bruce Dickinson non lo si scopre certo oggi e le sue peculiarità vocali sono ormai state consegnate alla leggenda del rock e del metal. Negli ultimi due decenni si è dedicato quasi interamente alla sua band madre, tra comprensibili alti e bassi che però hanno sempre mantenuto una dignità e un'onestà intellettuale assolutamente invidiabili. Con gli Iron Maiden momentaneamente parcheggiati, il cantante è potuto tornare a dedicarsi a un progetto che sembra essere stato in continua evoluzione fin dal 2014, insieme al suo consueto partner artistico, il chitarrista e produttore Roy Z, e collaboratori consolidati come il tastierista italiano Mistheria.

Il progetto è ambizioso e multimediale, dato che è in uscita anche una serie di fumetti, suddivisa in dodici albi, che racconta una saga che narra la guerra generazionale secolare tra le forze della scienza e del misticismo per il controllo dell'immortalità.

Ascoltando invece il disco e ammirando i primi due opulenti video estratti (“Afterglow Of Ragnarok” e “Rain On The Graves”), notiamo di non aver di fronte un classico “concept album” ma più una raccolta di emozioni e suggestioni musicali a cui la storia citata si ispira e nutre. D’altronde non possiamo certo aspettarci da mister Dickinson un mero compitino oppure un lavoro che incensi la gloria imperitura del metal. Bruce è laureato in Storia e ama le narrazioni che intrecciano e fondono arti come l’alchimia, la filosofia e la letteratura.

 

Non troverete nulla di banale in The Mandrake Project, ma se siete interessati soprattutto alla musica, il discorso potrebbe essere un po' diverso. Di Heavy Metal sempre si parla, di certo contaminato con l’hard rock tastieristico a là Deep Purple, qualche influenza orchestrale, il tutto immerso in una atmosfera densa, cupa, quasi onirica. Chi segue da sempre la carriera solista di Dickinson potrebbe trovare rimandi alle sue opere passate (nella classicità di “Mistress Of Mercy”, oppure nel roccioso singolo “Afterglow Of Ragnarok”), oppure echi del suo impegno nella vergine di ferro, come nel ripescaggio di “Eternity Has Failed” (rielaborazione abile e snellente della maideniana ““If Eternity Should Fail”) o nel refrain sostenuto e ripetuto della monocorde “Rain On The Graves”.

La parte teatrale e sinfonica viene appagata dalla power ballad “Fingers In The Wounds” (dotata di un intermezzo tribal/orientaleggiante molto suggestivo) e dall’articolata “Shadow Of The Gods”, dove, soprattutto nel finale si notano echi che riportano alle pagine migliori dei sottovalutati Savatage. Le idee brillanti ci sono eccome, anche se spesso inserite in modo bizzarro o forse molto “libero” come nella visionaria “Resurrection Man”, che parte come cavalcata “Western mode” e si trasforma in un pezzo dei Black Sabbath del 1973.

 

Tanta carne al fuoco che convince senza esaltare, soprattutto in episodi interlocutori come i dieci minuti finali di “Sonata (Immortal Beloved)”, dove ci si rende conto del difetto principale di un buon disco: poche emozioni vere.

Ma dato che le emozioni sono sempre soggettive, lasciamo a voi l’onere e l’onore di ascoltare questo album sfaccettato e di deciderne la sua sorte. Intanto, ci godremo Bruce Dickinson e la sua solida band dal vivo, in un’estate che si preannuncia assai torrida!