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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
06/05/2025
Live Report
The Murder Capital, 05/05/2025, Alcatraz, Milano
Peccato per la resa sonora insufficiente, perchè i Murder Capital dal vivo sono la solita macchina da guerra. Potenza da un lato, ma anche capacità di creare atmosfera.

Blindness, terzo disco dei Murder Capital, ha rappresentato senza dubbio un tentativo, per quanto discreto, di smarcarsi dalle radici Post Punk, per abbracciare un suono più “leggero” e per certi versi “Pop”. Non è stata una svolta decisa ed esplicita come quella dei Fontaines d.c. lo scorso anno, sia chiaro, ma è indubbio che questo nuovo lavoro degli irlandesi si sia posto come un parziale punto di rottura all’interno del loro ancora breve cammino artistico, tanto che non sono stati pochi quelli che hanno avuto da storcere il naso.

Di sicuro c’è che la risposta del pubblico non è stata quella che si poteva sperare alla vigilia: l’Alcatraz riempito solo per metà, con l’utilizzo del palco piccolo sul lato lungo, di contro ai loro colleghi Fontaines che lo hanno imballato oltre ogni limite (ed è già sold out anche la data di giugno al Carroponte, novemila persone circa) fa capire abbastanza chiaramente come per il momento proprio non ci sia partita.

Un vero peccato, perché per chi scrive James McGovern e compagni, pur non avendo un songwriting marcatamente riconoscibile come i loro connazionali, sono sempre stati un passo avanti rispetto alla resa live, e hanno appena scritto un disco che meriterebbe decisamente maggiore attenzione.

 

In apertura ci sono gli Hex Girlfriend, duo con base a Londra composto da Noah Yorke e James Knott, che ha esordito nel 2022 con una manciata di singoli e che lo scorso novembre ha pubblicato l’EP No Golf Cart Parking. Noah è il figlio di Thom Yorke, ma chi si fosse aspettato un act dall’impronta simile ai brani pubblicati da solista (molto validi ma fin troppo vicini allo stile del padre) avrà dovuto ricredersi: i due partono dal Post Punk roboante di Idles e affini ma lo contaminano con dosi massicce di elettronica, tra Techno, Dub e Jungle, con un’insistenza quasi ossessiva sulla sezione ritmica (d’altronde gli unici due strumenti “suonati” sono basso e batteria) e linee vocali accattivanti e dal sapore ironico.

Componente teatrale molto forte, a partire dai camici bianchi che indossano on stage (un tempo utilizzavano anche il make up ma a quanto pare hanno smesso) e con Noah vero mattatore dello show, dividendosi tra performance vocali mentre suona la batteria ed esecuzioni da frontman con tanto di passeggiate in mezzo al pubblico. Set da mezz’ora, potente e coinvolgente, per una band che ha tutti i numeri per fare bene e che, anche a giudicare dall’ottima risposta dei presenti, farà molto parlare di sé.

 

I Murder Capital partono in quarta con “The Fall”, tra i brani migliori del nuovo disco e tra quelli maggiormente in continuità col passato, subito seguita da “More is Less”, mazzata sui denti tratta dal primo album a scatenare subito il pogo nelle prime file.

La resa sonora, purtroppo, non è delle migliori, con le chitarre impastate e una generale difficoltà dei vari elementi a risaltare appieno. Peccato, perché dal canto suo il gruppo è la solita macchina da guerra, spinta come sempre dal drumming implacabile di Diarmuid Brennan e da un James McGovern che ha sorpreso per il cambio di look (acconciatura abbastanza improbabile, direi) e per una gestione del ruolo di frontman molto più precisa e compassata, che lavora per sottrazione, riducendo al minimo la gestualità e concentrandosi su una prova vocale impeccabile e priva di sbavature.

Come sempre non è la potenza l’unico ingrediente del concerto: dopo l’incalzante “Death of a Giant” e una “Feeling Fades” che esalta la componente primordiale degli esordi, i cinque si lanciano in una sequenza di brani meno diretti, in cui a prevalere è una certa atmosfera languida e ipnotica, e dove Damien Tuit e Cathal Roper (che ha compiuto gli anni proprio quel giorno, come ha annunciato al pubblico un divertito James) hanno alternato le loro chitarre al suono dei sintetizzatori: “The Stars Will Leave Their Stage” e “A Thousand Lives”, due degli episodi migliori di Gigi’s Recovery, hanno incantato con il loro feeling vagamente tenebroso, a tratti quasi gotico, mentre le nuove “A Distant Life”, “Swallow” e “That Feeling” hanno senza dubbio dato l’impressione di essere più leggere, ma hanno beneficiato di esecuzioni ottime, che ne hanno valorizzato la componente melodica e allo stesso tempo reso più interessante le dinamiche, grazie a notevoli crescendo di intensità nelle seconde parti.

Sorprendente è stata poi “Love of Country”, funerea ballata Folk sui pericoli del nazionalismo (non a caso James l’ha fatta precedere dal grido “Free Palestine!”, scandito poi anche dai presenti) che personalmente non ritenevo adatta alla dimensione live, e che invece mi ha convinto in pieno: prima parte lenta e quasi strascicata, seconda molto più robusta e quasi aggressiva, con le chitarre in primo piano ed una batteria più presente.

E poi c’è “Moonshot”, potente e ruvida più che su disco, altro brano che, tutto sommato, non si discosta più di tanto dal tipico trademark del gruppo, sebbene un po’ più asciutto in sede di scrittura. Suonata anche “Heart in a Hole”, il singolo del 2023 che non è finito su Blindness ma che ne anticipava in qualche modo alcune delle caratteristiche. Un buon pezzo, sufficientemente coinvolgente, ma non sarebbe stato male sentire qualcosa di diverso.

Il finale è dedicato alla vecchia “Don’t Cling to Life”, ormai classico cavallo di battaglia del loro repertorio, anche se l’impressione è che col prosieguo della carriera questa fase potrebbe essere facilmente accantonata (questa sera solo tre pezzi provenivano da When I Have Fears).

“Can’t Pretend to Know” è infine una piacevole sorpresa, un altro episodio sulla cui resa non avrei troppo scommesso e che invece, complice il solito irrobustimento dei suoni e di una capacità di gestione delle dinamiche davvero superba, alla fine risulterà come una delle migliori.

Solo due bis, arrivati oltretutto dopo appena un’ora di set: “Ethel” è come al solito cupa, sontuosa e magnifica, col solito climax da brividi e la voce di McGovern a raggiungere il suo picco espressivo. La chiusura, sulle note della splendida “Words Lost Meaning”, con tanto di coro del pubblico sul ritornello, reiterato ed enfatizzato dalla band stessa, potrebbe, con un po’ di immaginazione, prefigurare la reinvenzione dei Murder Capital come band rock Pop da classifica: si dirà che non hanno i mezzi necessari per farlo, si dirà che è uno schifo se lo facessero, si dirà che comunque per il momento i riscontri commerciali non stanno arrivando, e altre cose del genere.

Al di là di tutto, credo semplicemente che la verità stia nel mezzo: Blindness ha fatto intravedere un certo cambio di direzione e ha reso l’act di Dublino leggermente più accessibile, ma nel rispetto di una continuità al momento mai messa in discussione. In futuro si vedrà. Il presente ci parla di un ottimo concerto, inficiato solo da una resa sonora insufficiente e da una durata inferiore a quella delle precedenti date del tour.