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REVIEWSLE RECENSIONI
26/11/2021
French For Rabbits
The Overflow
Tra il Dream Pop da cameretta e gli spazi cosmici, tra le atmosfere delicate e una certa oscurità di fondo, dalla Nuova Zelanda arrivano i French For Rabbits.

Senza dover per forza parlare di Lorde, la Nuova Zelanda la conosciamo per il Dunedin Sound, la Flying Nun, The Churches, Yumi Zouma, The Beths e quant’altri. Insomma, non stiamo certo parlando di un paese musicalmente arretrato e un giorno magari proveremo seriamente a capire perché.

I French For Rabbits sono uno dei tanti nomi in questa lista ma non sono un nome da poco: sin dal 2014, cioè da quando il loro debut Spirits totalizzò ottimi numeri e finì dentro a serie Tv come “Vampire Diaries” e “Never Have I Ever” (ma qui c’entra comunque anche quella tendenza generale, inaugurata proprio in quegli anni, per cui quei prodotti rivolti più propriamente al pubblico “Teen” andavano a pescare nel serbatoio della cosiddetta musica indipendente), il quintetto di Wellington è indicato tra le cose migliori apparse negli ultimi tempi nella terra dei kiwi (perdonatemi per questa definizione banale ma non trovavo altro).

Scritto quasi tutto nel 2020 e quindi anch’esso figlio della pandemia, come del resto è fisiologico che accada, The Overflow rappresenta l’ideale follow up di The Weight of Melted Snow, consegnandoci un gruppo che procede mantenendo intatto il proprio marchio di fabbrica ma allo stesso tempo introducendo un decisivo processo di upgrade.

Prodotte dal connazionale Jol Mulholland, queste dieci canzoni si muovono lungo il crinale tra il Dream Pop da cameretta e gli spazi cosmici abitati con disinvoltura da nomi storici come Beach House o Galaxie 500. La voce di Brooke Singer è senza dubbio l’elemento più caratteristico, dentro ai canoni del genere ma ugualmente dotata di carisma e personalità tutta sua. I brani sono costruiti attorno alle sue interpretazioni e sono cesellati magnificamente in ogni dettaglio, con le tastiere (ad opera della stessa Brooke ma anche di Penelope Esplin) ad ergersi ad elemento preponderante e a fondersi in maniera perfetta con la sezione ritmica (Ben Lemi al basso e Hikurangi Schaverien-Kaa alla batteria), le chitarre di John Fitzgerald e le orchestrazioni da camera (queste ultime sempre ad opera della Singer) a rendere più profondo il suono.

Atmosfere delicate sì ma con un’oscurità di fondo che certe melodie ariose (“Passengers”, “The Dark Arts”, "The Overflow", giusto per fare alcuni esempi) non riescono a stemperare: dopotutto parliamo di un disco che ha come title track un brano che parla di attacchi di panico e anche gli altri non si può dire raccontino storie confortanti.

Livello delle canzoni sempre molto alto, con qualche incursione nel Pop d’autore “(“Walk the Desert”, “Money or the Bag”, “Poetry Girl”) e brani che seguono il più tipico schema Dream a la Beach House (oltre alla title track già nominata, anche “The Outsider”, che si avvale della insolita collaborazione con Brooke Johnson e col Dropckick Murphys Marc Orrell, “Ouija Board” e “Nothing in My Hands”). A chiudere un lavoro breve e privo di cali di tensioni, una splendida “Middle of the House”, che inizia come una ballata pianistica ed esplode in una silenziosa marcia notturna, ad evocare ricordi di un passato che forse si vorrebbe riportare indietro.

Davvero un disco convincente, e il fatto che incidano per la italianissima A Modest Proposal ce li rende ancora più graditi. Già che ci siamo, speriamo possa esserci occasione, sfruttando il legame, di vederli presto suonare dalle nostre parti.