Cerca

logo
REVIEWSLE RECENSIONI
07/06/2023
The Hold Steady
The Price Of Progress
The Price Of Progress è il classico disco Hold Steady, solido nella scrittura, ma solo a tratti capace di accendere la fiamma.

Difficile trovare una band immediatamente riconoscibile come lo sono gli Hold Steady: la voce recitante di Craig Finn, le chitarre croccanti e la profondità di testi, che sembrano veri e propri racconti di vita vissuta, sono il segno distintivo di una band che calca le scene ormai da vent’anni, senza aver mai abiurato il proprio credo musicale.

Anche questo nuovo The Price Of Progress è un disco che si allinea perfettamente al consueto stile della band, il cui rock spigoloso e adulto, spesso inquadrato nel mare magnum dell’alternative, è figlio in realtà di un impeto fortemente popolare, contiguo all’arte di musicisti come Springsteen e Petty, e di un suono sovraccarico di pathos ed energia, che unisce in un abbraccio fraterno, artista, gente comune, ultimi e diseredati. Merito della scrittura e, soprattutto, delle liriche di Craig Finn, verboso crooner col cuore in mano, che partendo da riflessioni personalissime, quasi fossero uno sfogo terapeutico per evitare il lettino dello psicanalista, riesce a trasformare la propria soggettiva in una visione universale, in cui non è poi così difficile immedesimarsi.

Non cambiano approccio, gli Hold Steady, e, imperturbabili rispetto alle mode, continuano a suonare il loro blue collar rock con una perseveranza ai limiti della testardaggine, circostanza, questa, che è un’arma a doppio taglio, la loro forza e il loro limite. A volte salta fuori il discone, come nel caso del precedente Open Door Policy (2021), in altre occasioni, invece, come per questa nuova fatica, si rimane nell’ambito di un minimo sindacale che resta piacevolissimo, soprattutto per i fan, ma che manca di un vero e proprio slancio che possa raggiungere anche una più importante fetta di pubblico. Quello degli Hold Steady è un suono famigliare, accattivante per chi ama un certo rock diretto e senza fronzoli, ma che talvolta cade nella trappola del deja vu, a causa del cantato intenso, ma monocorde, del proprio leader.

Certo, non mancano momenti davvero azzeccati, come l’opener Grand Junction, melodica e dal retrogusto malinconico, l’impeto vibrante della splendida Sideways Skull o il tiro diretto dei riff di Sixers. Il songwriting è solido, per carità, ma non aggiunge nulla a un songbook già ricco e di altissimo livello, nessun elemento di novità che riesca a carpire l’attenzione di chi, questa formula, ormai la conosce a memoria. E’ inevitabile, quindi, che alcuni momenti risultino tanto prevedibili da procurare un senso di quieta noia (City At Eleven, Distortions Of Faith).

Alla fine, chiunque abbia mai ascoltato una canzone degli Hold Steady sa esattamente cosa aspettarsi da questo disco. L'estro romanzesco di Craig Finn rimane il fulcro della proposta, e sebbene la scrittura resti di buon livello e perfettamente in linea con la fama della band, allo stesso modo manca quel pathos che accenda e faccia divampare la fiamma. The Price Of Progress, in definitiva, è un disco Hold Steady a tutto tondo, funziona bene, e ci mancherebbe, ma solo a tratti riesce a scaldare il cuore.