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REVIEWSLE RECENSIONI
07/09/2017
Nadine Khouri
The Salted Air
Nadine Khouri conferma in questo esordio il suo songwriting unico attraverso dieci composizioni caratterizzate da una voce piena di espressività

Con un timbro come quello di Nadine Khouri si può anche spogliare la musica di tutto e lasciare solo qualche frammento a coprire la battute vuote, qualche suono più grave a mettere in risalto la melodia, ritmo quanto basta e tutto il resto a corollario dell’immaginazione.
Nadine Khouri nasce a Beirut ma a 7 anni segue i genitori a Londra, in fuga dalla guerra civile in Libano. Studia negli USA e poi rientra in Inghilterra per riunirsi alla sua famiglia. In un’intervista rilasciata a “The London Y” (link https://thelondony.com/2016/05/31/nadine-khouri-from-beiruts-war-child-to-londons-most-soulful-voice-the-interview/) Nadine parla degli stati d’animo che sono alla base delle sue canzoni - la perdita, la distanza, l’amore - e del fatto che spostarsi così tanto, come è successo a lei, ti fa dimenticare chi eri prima.
Dopo una manciata di brani su un EP d’esordio avvia una collaborazione con John Parish, che conosciamo soprattutto per aver prodotto P.J. Harvey, e pubblica nel 2017 “The Salted Air” con materiale in cantiere a maturare già da un po’. Un disco suonato in presa diretta e composto da canzoni della cui efficacia Nadine ha già preso le misure dal vivo e su palchi importanti.
In giro si legge di tutto su ciò che possa aver influenzato la sua musica. Jeff Buckley, Sparklehorse, Lou Reed, Lhasa de Sela, Nina Simone, Leonard Cohen. Non mancano le interpreti a cui sembra riconducibile: Bat for Lashes, Janelle Monáe, Kate Bush. Dicono anche che Nadine scriva testi molto particolari e senza tempo, ispirati da autori e poeti come Eliot, Neruda e un certo Verlaine. Di sicuro si accompagnano perfettamente con la sua voce, ricca di sentimento.
Il problema con “The Salted Air” è che senti un organo e ti richiama il blues, parte un violoncello e ti viene da tirare in ballo la 4AD dei tempi di Lisa Gerrard, si anima una chitarra acustica e torni nei meandri del songwriting, a cui è meglio comunque ascrivere questo album, e delle atmosfere gothic-folk e dream-pop che ci si aspetta. Un genere evocativo e rarefatto per eccellenza, figuratevi allora un ellepì come questo, in cui per trovare una batteria sufficientemente marcata quasi bisogna aspettare l’ultima traccia.
Nelle canzoni di Nadine Khouri ognuno ci sente quello che vuole, e mai come in “The Salted Air” il processo è così elementare. C’è una voce bellissima che sussurra melodie da meditazione come certi liquori di lusso e fa venire voglia di crogiolarsi in qualcosa di accogliente, qualcosa di totale, qualcosa di avvolgente. Se ha qualche richiamo mediorientale, poi, ancora meglio.
“The Salted Air” si apre proprio con la voce completamente nuda (e solista assoluta) per il primo minuto buono di “Thru you I awaken”, un incipit mozzafiato con cui Nadine ritrova esplicitamente, in alcuni passaggi vocali, le sue origini. Il disco prende quindi il volo con “I Ran thru the Dark (to the Beat of my Heart)” per poi fermarsi di nuovo e darci il tempo di riflettere con “Jerusalem Blue”, dove blue chissà se sta per triste, considerando che, paradossalmente, è una delle pochissime composizioni in maggiore dell’album. “Broken Star”, la terza traccia, è forse quella più efficace, complice la tensione generata dall’attesa di un crescendo elettrico che, invece, non arriva mai. Atmosfere quasi completamente acustiche per “Daybreak” e per la successiva titletrack, un ispirato smarrimento onirico diluito nella totale assenza ritmica. “Surface of the Sea”, la traccia 7, ha un carattere apparentemente disteso e lineare e di forte contrasto con il brano successivo, “You Got A Fire”, dagli echi vagamente blues.
Il disco si avvia alla conclusione con “Shake it like a Shaman”, una sorta di danza sacra per voce e percussioni, per terminare con “Catapult”, dove l’accompagnamento di Hammond e batteria è l’ulteriore dimostrazione di una capacità compositiva e di arrangiamento multiforme e di ottimo gusto, lo stesso che pervade tutto l’album e che fa di “The Salted Air”, nell’insieme, un’opera dalla bellezza indiscutibile.