Cerca

logo
REVIEWSLE RECENSIONI
25/03/2022
The Delines
The Sea Drift
Un country soul morbido e malinconico avvolge storie ordinarie di un'umanità fatta di perdenti, reietti, anime sole alla deriva di un mondo crudele.

The Sea Drift: il mare e la deriva. Due termini che accostati esprimono alla perfezione lo straniamento che nasce dall’ascolto del nuovo disco dei Delines, creatura nata dall’immaginazione di Willy Vlautin, ex Richmond Fontaine e romanziere sopraffino. Da un lato, il mare, fotografato anche nella bella copertina dell’album, che evoca quiete, suggerisce (e)stasi contemplativa, seduce con il lento e ipnotico borbottio della risacca; dall’altro, la deriva, un termine che parla di smarrimento, di naufragio (interiore), di confusione, turbamento, sconcerto.

Un titolo, The Sea Drift, che esprime, dunque, perfettamente il contenuto delle undici canzoni in scaletta, brani morbidi, avvolgenti, arrangiati con la grazia del cesello artigianale, note che accarezzano, suscitando languori malinconici, ma anche storie di un’umanità persa, senza speranza, di quei perdenti, amanti disperati, donne sole, reietti in cerca di un impossibile riscatto, raccontati così bene nei romanzi di Vlautin e, qui, colti nel cuore di una storia, negli attimi di una sequenza cinematografica.

Una musica rarefatta, sincera, elegante ed evocativa, che fa da cornice a liriche, cantate, con appassionata dolcezza, dalla brava Amy Boone, in cui il neo-realismo di Vlautin apre ferite interiori non rimarginabili e punta lo sguardo sull’America degli ultimi, di uomini e donne sconfitti dalla vita, a cui non resta altro che abbandonarsi alla deriva, sperando, prima o poi, in un appiglio che trasformi la speranza in salvezza.

Così, il levigato country soul dell’opener "Little Earl" avvolge l’abitacolo dell’auto guidata dal piccolo Earl, il cui fratello “is bleeding in the backseat”. Un’immagine che evoca un film, quello di una rapina andata male e del viaggio disperato alla ricerca di un ospedale, “anche se suo fratello non vuole che lo faccia” e il piccolo Earl “sta iniziando a farsi prendere dal panico, è troppo spaventato per fermarsi, e non ha mai guidato di notte e continua a perdersi”. “Getting Lost”, finisce con queste parole, la canzone, lasciando all’immaginazione di chi ascolta gli elementi per chiudere la sceneggiatura: cosa ne sarà dei due fratelli? Troveranno la morte o la salvezza?  

Icastiche e puntute, le liriche di Vlautin raccontano un’America vera, lontana dall’epos, dall’iconografia tradizionale, condensata, invece, in esistenze sull’orlo del baratro, e in personaggi che affollano highways, motel a buon mercato, bar fumosi, periferie ove il pericolo incombe, proprio dietro l’angolo. Vite ordinarie, precarietà, destini già segnati.

Le auto di pattuglia si fermano, la polizia si precipita fuori e lancia il mio uomo contro un muro. In una cittadina di mare, con turisti tutt'intorno, Il mio uomo ammanettato sul marciapiede. Mi chiedi chi è questo mio uomo. E cosa ha fatto. Giuro, non lo so, giuro, non lo so. Stava venendo a prendermi al lavoro. Dal retro della loro macchina mi guarda e posso dire che, qualunque cosa pensino che abbia fatto, è colpevole”, canta Amy Boone nel delicato cesello acustico di "Surfers At Twilight", vertice emotivo del disco, e ballata su un amore disperato (e forse tossico), che lascia ammutoliti per la forza dell’immagine di due amanti colti esattamente nel momento in cui il loro mondo va a rotoli, mentre intorno, inconsapevoli spettatori, i surfisti cavalcano le onde nel crepuscolo. Il mare e la deriva.

La deriva di una donna triste, oppressa dal nucleo famigliare in cui vive, che cerca nella fuga la via di salvezza ("Drowing In Plaint Sigh") e quella di un’altra donna, che torna a casa all’alba dall’ex compagno, per riprendere le sue cose, e lo trova ubriaco e con la pistola in mano ("This Ain’t No Gataway"). E’ questo il mondo raccontato da Vlautin, un mondo avvolto in una cappa scura, in cui dominano il dolore, la violenza, l’ingiustizia, e i cui personaggi combattono quotidianamente alla ricerca di un’improbabile salvezza. Che forse arriverà, proprio dal mare ("Saved From The Sea"), la cui pacata bellezza è lenimento alle ferite e dolce promessa di speranza: “Mi fa sentire come se il mondo non stesse affondando, Come se il mondo non fosse così brutto e crudele come è. Mi fa sentire come se la mia vita non fosse stata sprecata, Come se la mia vita non stesse semplicemente scivolando via, Lo sento davvero”.