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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
01/09/2025
Elvin Bishop
The Skin I’m In
Scorre il 1998, all’orizzonte si sta avvicinando il nuovo secolo, ma nel cuore di Elvin Bishop arde ancora la fiamma del blues. In The Skin I’m In l’artista statunitense propone un repertorio in bilico tra anima e divertimento, supportato da una chitarra doc e una possente sezione ritmica. Dodici brani di grande livello, in uno dei suoi album più riusciti. Andiamo a riscoprire tutta questa bellezza.

Storico membro fondatore della mitica Butterfield Blues Band, Elvin Bishop (1942) dopo una brillante carriera solista improntata su southern e swamp rock durante tutti gli anni Settanta, ritorna al blues nella decade successiva per non abbandonarlo più fino ai giorni nostri. Sono memorabili a riguardo The Blues Rolls On (2008) e il recente 100 Years of Blues, in compagnia di un nome che ritroveremo nell’analisi di questo disco, l’immenso Charlie Musselwhite.

E veniamo dunque a The Skin I’m In, pubblicato da una certezza del mondo a dodici battute, la Alligator Records dell’ormai leggendario Bruce Iglauer: si tratta di un album concepito sulla falsariga dei precedenti, validi Big Fun (1988), Don’t Let the Bossman Get You Down e Ace in the Hole (1995), tuttavia con ancora più a fuoco l’obiettivo non semplice di coesione e libertà, due parole spesso contrastanti in campo musicale.

La linea di demarcazione tra il sentimento e il puro divertimento appare labile, e l’abilità chitarristica si confonde con il gusto dell’entertainer, creando un meccanismo virtuoso, una dicotomia funzionale alla riuscita dell’opera.

 

Il lavoro contiene dodici brani e ben dieci portano la firma di Bishop, tra cui “Right Now in the Hour”, frizzante opener, e “Way Down in the Valley”, esaltato dalle doti pianistiche di Randy Forrester; solo due sono tratti da altri repertori: “Shady Lane”, di Marcy Dee Walton, e “I’m Gone”, composto dalla penna affilata di Allen Toussaint e non a caso, quindi, con un vago sapore di New Orleans.

Leader di una band che ha la sua forza nella sezione ritmica (Larry Vann, batteria e Evan Palmerson, basso), il buon Elvin la incrementa ulteriormente inserendo nella medesima i fiati (trombone e sax tenore, con Ed Early e Terry Hanck), che contribuiscono a rendere più rotonda la sonorità complessiva. A dargli una mano per l’occasione si aggregano gli amici di sempre quali il già menzionato Musselwhite e l’altro re dell’armonica Norton Buffalo (sue le gesta nel blues lento e malinconico “Long Shadows”), oltre alle chitarre del geniale Joe Louis Walker, purtroppo recentemente scomparso, per “Country Blues”, e del fidato William Schuler in “Radio Boogie”, una delle perle presenti in scaletta, ove si parla dell’ascolto del blues alla radio nei mitici fifties.

 

“The Skin They’re In” affronta invece con profondità e risolutezza il tema della discriminazione razziale, ma c’è tempo anche per la vivacità di “That Train Is Gone”, la slide imbizzarrita, tagliente come il vetro di “Mellow-D” e lo spunto autobiografico presente in “Middle Aged Man”.

La voce di Elvin è e rimarrà sempre al centro delle discussioni, capace di dividere in parti eguali fan e critica. Roca e a volte tesa, a tratti troppo indulgente alla forma di blues-rap, è comunque sincera e carica di personalità e, a riguardo, per farsi un’idea, basterebbe ascoltare la loquacità di “Slow Down”.

 

In conclusione, The Skin I’m In risulta un disco divertente, con un songwriting incisivo contraddistinto da assoli di chitarra eccentrici e intraprendenti. Il sacro fuoco del blues arde come non mai nel cuore di Bishop, un personaggio umile costantemente capace di reinventarsi senza abbandonare la sua storia e tradizione e che, in verità, ha ottenuto meno di quanto avrebbe meritato.

«Sono nato in California, cresciuto in Iowa e Oklahoma, per poi trasferirmi a Chicago. Ho iniziato in una fattoria e, prima di riuscire a guadagnarmi da vivere con la musica, ho lavorato nelle acciaierie, nei giacimenti petroliferi, nell'edilizia, demolendo strade con un martello pneumatico. So cos'è il vero lavoro e la chitarra mi sembra piuttosto leggera rispetto a quelle altre cose».

(Estratto da intervista su aarondavismusic.com, 2014)