...Jagger e Richards lo hanno trangugiato come carne fresca e negli album incisi con gli Stones il chitarrista non compare mai in veste d’autore. La convivenza con i Glimmer Twins non è più possibile e nel dicembre 1974 Mick abbandona il gruppo.
A cinque anni di distanza, la chitarra solista di uno dei più grandi gruppi del pianeta è ancora vacante. A chi toccherà questa volta?
Dopo il divorzio con gli Stones, Mick Taylor fu risucchiato in un buco nero senza fine: per il grande pubblico la sua carriera era già finita, ad appena 25 anni. In futuro qualche album solista, molte reunion con vecchie glorie della scena Britannica di fine ’60, una grande classe apparentemente sciupata da un carattere introverso, schivo e frastornato dalla ribalta.
Nel frattempo, Jagger & Richards avevano il non facile compito di riempire di nuovo la casella della chitarra solista per il loro complesso. Metà anni ’70, apogeo del Classic Rock e prime avvisaglie punk dall’underground inglese. L’America sembra insensibile alla No Future Generation ed è ancora terreno di conquista per vecchi “dinosauri” e loro discepoli. Gli Stones hanno appena pubblicato It’s Only Rock ‘n’ Roll, il loro dodicesimo album, un nuovo successo commerciale anche se ben distante dai capolavori del periodo ’68 -’71. In effetti sono insieme da ormai 12 anni e quindi tra i primi complessi britannici a fare i conti con un’età a cui forse nemmeno loro pensavano di arrivare. Che direzione prendere dopo la defezione di Taylor? La scelta è ancora più definitiva che nel 1969: cercare di innescare un nuovo corso o lasciare che le canzoni rimanessero le stesse? I pretendenti non mancano…
Mick Ronson
Come Luther Grosvenor quasi 5 anni prima, anche Ronson è un solista spettacolare ed effettistico. Collaboratore di Bowie, Reed e Ian Hunter è il massimo solista dell’ormai cadente glam-rock. Ma è anche autore, arrangiatore, produttore e cantante; un jolly. Come per Ariel Bender la sua è una presenza fisicamente ingombrante: esuberante, a suo agio sotto i riflettori: un’ape regina temibile per ogni frontman, soprattutto per l’insipido Jagger di metà ’70.
Jeff Beck
Stella di primissima grandezza e chitarrista ancora considerato tra i migliori della sua generazione (…e che generazione!). Pioniere della psichedelica europea, del prog, dell’elettricità in generale, esce a pezzi da un paio d’anni trascorsi ad ubriacarsi con la sezione ritmica dei Vanilla Fudge. È in un momento deprimente per la sua carriera ma il suo ingresso negli Stones farebbe comunque enorme scalpore.
Peter Frampton
L’ex co-leader (assieme a Steve Marriot) degli Humble Pie è in piena fase di lancio della propria carriera solista: più conosciuto in America che non in patria, viene da numerose collaborazioni e dalla produzione di un paio di album a proprio nome. È un chitarrista esperto, affascinante, idolo delle teenager, dal tocco leggero, capace di estesi assoli e di un soft-rock sensuale e accattivante.
Rory Gallagher
Astro nascente della musica irlandese, dopo qualche anno passato nel trio Taste (sul modello classico di Cream ed Experience) lancia la sua carriera con album di purissimo feeling blues. Abile tanto con il jack inserito che con chitarra acustica e slide, è un purista ancora più di Taylor e i suoi torrenziali assoli possono durare anche per decine di minuti, come documentato dal live del 1974 Irish Tour. Eroe dalla working-class è un artista semplice, dallo sguardo sincero e dalla carica contagiosa, non certo una Rock-Star bizzosa e intoccabile.
Harvey Mandel
Sideman americano, veterano di tante battaglie con Charlie Musselwhite, John Mayall e Canned Heat coi quali suonò a Woodstock. Impostazione assai blues, sound robusto e presenza scenica inquietante ed impassibile tanto da essere soprannominato “the Snake”, è relativamente sconosciuto al grande pubblico soprattutto in Inghilterra.
Wayne Perkins
Ventiquattrenne originario dell’Alabama, ignoto ai più in quanto da sempre session man confinato dietro le quinte, è in realtà un musicista eclettico a suo agio nel country, quanto nel blues e nel rock fino addirittura al reggae della scuderia Island con cui lavora a metà anni ’70. Fu segnalato agli Stones da Eric Clapton con cui aveva trascorso qualche mese in Giamaica.
Ron Wood
Amico di vecchia data di Richards, già bassista di Jeff Beck nei primi due mitici LP dell’ex Yardbirds, poi membro di Small Faces e Faces, autore di un paio d’album a proprio nome, Wood aveva già sperimentato tutto ciò che lo show-biz britannico aveva da offrire. Non era né un virtuoso come Beck o Gallagher, né multiforme come Ronson o bello come Frampton; ma aveva esperienza e quell’espressione sorniona di chi la sa lunghissima.
Nell’agenda degli Stones gli impegni restavano fittissimi e poco dopo l’uscita di It’s Only Rock ‘n’ Roll il gruppo era già in studio per l’album successivo. Di nuovo furono decisive le sessions di registrazione, questa volta per Black And Blue. Per quanto sconosciuti, i due americani Perkins e Mandel parteciparono alle incisioni di "Hot Stuff”, “Memory Motel”, "Hand of Fate" e "Fool to Cry". Perkins in particolare aveva passato qualche mese ospite di Richards con il quale aveva provato molto vecchio materiale degli Stones; Jagger, che preferiva Wood, non ne era molto convinto eppure Wayne fu veramente ad un passo dall’entrare nella band. Lo stesso Wood è accreditato come musicista in diversi brani, la sua lunga amicizia con i Glimmer Twins e la recente collaborazione per il suo album solista erano fattori importanti.
Dal canto loro Beck e Gallagher pur avendo suonato “liberamente” in qualche jam con gli Stones e senza sospettare di essere “sotto esame”, avrebbero poi declinato l’invito, desiderosi di concentrarsi sulle rispettive carriere soliste: di nuovo in ascesa quella dell’ex-Yardbirds con Blow by Blow eccellente disco di fusion, destinata al contrario ad arenarsi assolo dopo assolo quella di Rory, musicista un po’ fuori tempo nei tardi anni ’70. Frampton e soprattutto Ronson apparivano elementi troppo destabilizzanti per gli ormai consolidatissimi equilibri di una band tra le più longeve del panorama.
Se la scelta di Taylor fu un po’ “garantista” ma di sicura qualità all’atto pratico, con quella di Wood il gruppo dimostrò di avere veramente "tirato i remi in barca", avviandosi verso un lento pensionamento da buoni professionisti e poco altro. Come scrive Nick Kent nell’autobiografia Apathy for the Devil “Magari non era un genio, ma il cuorcontento con la faccia da faina e la pettinatura da ananasso era ancora abbastanza svelto di dita e sufficientemente di bell’aspetto per essere cercato dalla creme de la creme musicale del momento”
L’ex Faces aveva veramente la faccia giusta ancor prima che il plettro o l’ispirazione. In una foto di gruppo era l’unico dei pretendenti a sembrare uno Stones di vecchia data.
Le "sliding doors" non funzionano secondo logiche inappuntabili; non funzionano solo con la fortuna, o con il merito; né con giustizia o equità. Funzionano e basta. Mentre Ronnie Wood si accasava con la squadra che avrebbe garantito un reddito ai suoi pronipoti, dall’altra parte del mondo Mike Bloomfield, uno che la chitarra elettrica rock quasi l’aveva inventata, languiva nell’eroina incidendo colonne sonore per film porno.
Funzionano e basta.