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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
29/06/2025
Live Report
THE THE, 28/06/2025, Anfiteatro del Vittoriale, Gardone Riviera
L'imperdibile ritorno in Italia dei The The è avvenuto nella migliore cornice possibile, quella dello splendido Anfiteatro del Vittoriale. La band è elegantissima anche dal vivo e Matt Johnson esibisce anche una magnifica prova vocale, densa di un'espressività raffinata, perfetta per i testi che racconta ad un pubblico rapito.

Verso la fine del concerto Matt Johnson presenta i musicisti che lo accompagnano riferendosi a loro come “la mia band” e, per quanto possano essere affiatati e coesi sul palco, la definizione è corretta: i The The sono sempre stati la declinazione preferita e maggiormente di successo della sua visione artistica, uno dei motivi per cui potranno anche rimanere congelati per parecchi anni, accantonati a favore di nuovi progetti, ma non per questo smetteranno di esistere.

È in effetti quello che è successo di recente: a NakedSelf (2000) è seguita una pausa lunghissima, interrotta solo nel 2017, con l’uscita del singolo “We Can’t Stop What’s Coming” scritta in occasione della scomparsa del fratello Andy “The Dog” Johnson che, tra le altre cose, era stato autore di tutte le copertine del gruppo. Ne era seguita una certa ripresa dell’attività live, per la quale è stata messa in piedi una nuova line up, che è poi la stessa che abbiamo visto in azione questa sera. Il live The Comeback Special, registrato nella sua Londra davanti ad un pubblico adorante, ha segnato ufficialmente il ritorno di Matt Johnson e della sua creatura, oltretutto certificandone uno stato di forma e di ispirazione veramente eccezionali.

Da qui a Ensoulment, il primo disco di inediti in 25 anni, il passo è stato relativamente breve: pubblicato lo scorso settembre, si tratta di un lavoro cupo e meditativo, che mette in musica le difficoltà politiche e personali degli ultimi anni  (Matt ha perso anche il padre, proprio alla vigilia del nuovo tour) senza tuttavia rinunciare al distacco ironico che ha sempre contraddistinto la sua scrittura e, particolare non di scarsa importanza, inanellando un lotto di canzoni di assoluto livello.

Per il suo ritorno in Italia (imperdibile, viste le premesse), non avrebbe potuto esserci cornice migliore: l’Anfiteatro del Vittoriale è semplicemente una delle venue più affascinanti dove vedere un concerto nel nostro paese, oltre ad essere dotato di un’ottima resa sonora. Lo stesso Johnson ne è consapevole e difatti ripeterà più volte, nel corso della serata, di quanto ami l’Italia e, soprattutto, di quanto sia contento di suonare in un posto così.

 

Le danze si aprono poco dopo le 21.30, coi cinque musicisti che salgono sul palco preceduti da un annuncio che invitava a non utilizzare telefonini (indicazione che, tutto sommato, è stata seguita) e, senza troppi preamboli, attaccano “Cognitive Dissident”, traccia di apertura del nuovo album.

Alla chitarra c’è Barrie Cadogan (Little Barrie, ma ha suonato con parecchi elementi della scena britannica, come Paul Weller Liam Callagher e Primal Scream) tocco sopraffino, perfetto nei fraseggi solisti ed essenziale alle seconde voci, che parecchio spazio hanno nella musica di Johnson. Earl Arvin, alla batteria, è preciso e sufficientemente versatile, anche se il suo strumento, a tratti eccessivamente triggerato e denso di effetti, rischia di suonare un po’ troppo “plastico”. Splendido è poi James Eller al basso, che dà tantissimo spessore e si dimostra anche il più gioviale ed estroverso della compagnia. Da ultimo, DC Collard disegna gli indispensabili richiami orchestrali con le sue tastiere e funge da mattatore assoluto con le sue sporadiche incursioni all’armonica (“Dogs of Lust”, da questo punto di vista, si appoggia quasi tutta sul suo contributo). Matt Johnson dirige tutto questo con maestria e sereno distacco, sfoderando una magnifica prova vocale, con un timbro ed un’espressività che il passare degli anni non sembrano aver per nulla scalfito, e accompagnandosi alla chitarra per buona parte della scaletta, anche qui con stile e tecnica impeccabili.

I classici arrivano subito, con “Sweet Bird of Truth”, “Armageddon Days are Here (Again)”, particolarmente attuale in questi anni di guerre e ideologie estremiste e una splendida “Heartland”, con Johnson che sottolinea come il suo testo, che denuncia una eccessiva americanizzazione politica e culturale del suo paese, valga ancora oggi come allora.

 

La prova dei cinque è magnifica, elegante e sontuosa come ci saremmo aspettati. Manca solo un po’ di potenza, a tratti si ha l’impressione di una eccessiva scolasticità, come se mirassero di più a suonare puliti e precisi, e proprio per questo risultino un po’ troppo trattenuti. È una scelta che si avverte di più sui pezzi storici, che hanno sempre avuto una botta notevole, ma che al contrario valorizza i brani di Ensoulment: particolarmente affascinante risulta “Some Days I Drink my Coffee by the Grave of William Blake”, che attraverso l’immagine suggestiva del titolo svolge un efficace parallelo tra la vita dell’autore e quella dell’Inghilterra, e che col suo incedere ipnotico si rivelerà una delle migliori esecuzioni della serata. Splendida anche “Kissing the Ring of Potus”, con un’interpretazione vocale da vero crooner e poi la commovente ballata “Where do We Go When We Die?”, scritta in ricordo del padre e facente parte di un particolare dittico che ha compreso anche “Love is Stronger than Death”, dedicata ad un altro fratello, Eugene, scomparso nei primi anni ’90 (“Speriamo di non dovere più scrivere canzoni per qualcuno dei miei familiari!” ha detto con una sorta di ironia tragica).

Non può mancare un altro classico come “The Beat(en) Generation”, con l’iconico tema di armonica suonato da DC Collard, mentre sorprende l’esecuzione di “Icing Up” estratta dal primissimo Burning Blue Soul, uscito all’epoca a nome del solo Matt Johnson. È un brano per certi versi più articolato, che colpisce per la sua elaborata parte centrale.”Slow Emotional Replay” viene presentata nella nuova versione uscita a inizio mese, che inizia con il ritornello sostenuto da una leggera linea di tastiera ed è in generale meno incalzante, in linea con le attuali coordinate sonore del gruppo.

 

Prima di “This is the Day” Matt invita il pubblico ad alzarsi in piedi e l’invito viene accolto fin troppo entusiasticamente, visto che in platea molti si spostano in avanti, accalcandosi sotto al palco. È un qualcosa che accade spesso al Vittoriale, ma mai così presto ed è indubbio che rinvigorirà non poco i cinque, che da qui in avanti procederanno più spediti e potenti. “The Sinking Feeling” infatti è una bella botta di energia, mentre su “Dogs of Lust” e “I’ve Been Waitin’ for Tomorrow (All of my Life)” finalmente si lasciano andare alle divagazioni strumentali (chitarra e armonica duellano nella prima, il piano elettrico è assoluto protagonista della seconda). E poi c’è “Infected”, proposta in una versione bellissima che conserva intatta la carica dei vecchi tempi.

Purtroppo è già tempo di bis: “Lonely Planet” è delicata e straordinariamente dolce, “Uncertain Smile” è un’incursione disincantata nell’adolescenza di Johnson con le sue insicurezze amorose, mentre “Giant” manda a letto tutti coi suoi ritmi ossessivi e il ritornello scandito a gran voce dai presenti.

Mancavano da 25 anni e tanti di quelli che hanno riempito l’anfiteatro questa sera non li avevano mai visti dal vivo. È stato un concerto bellissimo, che ha ripagato in pieno tutta questa attesa. Matt ci ha tenuto a far presente che l’Italia è il suo paese preferito: speriamo che sottintendesse il fatto che li rivedremo presto.

 

La scaletta:
Cognitive dissident
Sweet bird of truth
Armageddon days
Heartland
Kissing the ring
Some days I Drink my Coffee by the Grave of William Blake
Beat (en) generation
Love is stronger
Where do we go when we die?
Risin above the need
Icing up
Slow emotion replay
This is the day
Sinking feeling
Dogs of lust
Waiting for tomorrow
Infected
Lonely planet
Uncertain smile
Giant

 

Photo credits: Davide Mombelli