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REVIEWSLE RECENSIONI
The Unraveling Of PUPTHEBAND
PUP
2022  (Little Dipper / Rise Records )
PUNK ALTERNATIVE ROCK
8/10
all REVIEWS
20/05/2022
PUP
The Unraveling Of PUPTHEBAND
La battaglia tra la melodia e il caos si combatte in Canada, dove i PUP confermano ancora una volta di essere parte del meglio del punk di questi anni Venti, con un nuovo album pieno di tracce oneste, spietate, commoventi, tragiche e – ovviamente – stracolme di black humor.

«Non vediamo l'ora che lo ascoltiate. È un completo disastro nel modo migliore» (PUP) 

 

Con i PUP non puoi far altro che sentirti a casa. E come non esserlo, con un manipolo di personaggi frustrati, nevrotici e pesantemente autoironici, costantemente impegnati nella più metodica autodistruzione? Ogni disco (quest’ultimo compreso) è un vorticante concentrato di emozioni maniacali, schiette, caotiche e terribilmente divertenti, che non fanno altro che divenire poeticamente catartiche.

Il quarto album, The Unraveling Of PUPTHEBAND, li trova impegnati a riflettere sulla fama, la fortuna e le loro oscure inclinazioni a portare tutto al collasso, giocando sulla reinvenzione dei PUP come entità aziendale (la “Puptheband” del titolo) che, in particolare nelle tre tracce di "Four Chords" (parte I, II e III), troviamo impegnata nelle riunioni trimestrali del suo consiglio di amministrazione. Un escamotage che permette loro di giocare ironicamente anche sul nuovo status di band indie punk ormai riconosciuta e apprezzata da fan e critica, e quindi sulla gestione di quello che è un business di successo, nonostante “non ci sia nulla di più PUP di una lenta e inevitabile discesa verso l’autodistruzione”.

 

I PUP, di conseguenza, non potevano che trovare un modo ironicamente sconcertante di iniziare il loro nuovo album: uno Stefan Babcock in versione voce e piano, che canta contrito a proposito del fatto che sta usando un pianoforte che ha imparato a suonare solo giovedì scorso, spendendo per lo strumento tutti i soldi dell’etichetta, solo per fare quattro accordi e creare canzoni che nessuno vuole ascoltare. In un crescendo di atmosfera, dove chi ascolta non può che mettersi sempre più a ridere rendendosi conto di quanto tutto questo sia stupido, Babcock descrive come tutti gli amici lo odino visceralmente perché tanto ascoltano solo noise punk e nient'altro e non hanno mai ascoltato musica nuova sin dai tempi del college. All’apice del climax, nel mentre racconta di quanto comunque lui stesso non li sopporti, sbaglia accordi, impreca, e a quel punto si apre un’orchestra di archi a concludere con magniloquenza il pezzo. E così, nel giro di pochi minuti, ci si ritrova da un lato a sentirsi presi in giro e dall’altro a pensare quanto tutto questo sia incredibilmente geniale. Giusto in tempo, perché poi si sfocia immediatamente nella traccia più PUP di tutto il disco, la bellissima e anthemica “Totally Fine”, che, per inciso, è anche la prima ad essere stata scritta per il disco.

 

The Unraveling Of PUPTHEBAND, rispetto ai precedenti, è stato registrato velocemente (cinque settimane nell’estate 2021) e in un luogo diverso dal solito: la villa infestata dai pipistrelli del produttore vincitore del Grammy Peter Katis (Interpol, Kurt Vile, The National) nel Connecticut. Prendendosi il tempo necessario in studio e potendo effettivamente realizzare un album disponendo di maggiori possibilità, senza snaturare in alcun modo il loro spirito, i PUP hanno usato quest’occasione per incorporare nuovi strumenti nel loro suono, come pianoforte, synth e fiati per la prima volta, permettendo quindi a nuovi elementi di poter far parte della loro straripante tumultuosità.

Forse anche per queste nuove disponibilità, troviamo a testimonianza del loro irriducibile spirito una canzone come “Matilda”. Matilda, alla faccia di ogni facile supposizione a riguardo, non è altro che il nome della chitarra preferita di Babcock, regalo del suo amico Ryan dopo che l’aveva visto rompere accidentalmente l'unica che possedeva nel mezzo di un lungo tour.

 

«Non avevo soldi per comprarne una in sostituzione, e l'atto di gentilezza di Ryan è in cima alla mia lista delle "cose più belle che qualcuno abbia mai fatto per me". Ho suonato Matilda senza sosta per sette anni ad ogni spettacolo dei PUP, anche quando i miei compagni di band hanno iniziato a lamentarsi che suonava di merda. Man mano che la band diventava più grande, la pressione a suonare meglio aumentava e così ho comprato una chitarra "buona" e ho suonato Matilda sempre meno. Prima che me ne rendessi conto non la suonavo da più di un anno. Ho scritto questa canzone basandomi su questo intenso sentimento di colpa, tristezza, vergogna, nostalgia e rimpianto, guardandola marcire in un angolo. Amo questa chitarra e amo Ryan e mi sentivo come se avessi fallito con entrambi. Ho convinto la band che Matilda meritava un ultimo giro in un disco dei PUP, e l'ho suonata durante il bridge di questa canzone. Suona così di merda, ma per me è stato il momento più gioioso e catartico di tutta la realizzazione di questo disco».

 

Poi, in mezzo al continuo tentativo di scrivere del terrore esistenziale e della disperazione del vivere in questo caotico e insensato mondo (perché, come dice Babcock: «C'è solo un certo numero di volte in cui puoi scrivere una canzone su quanto ti odi prima di scrivere una canzone su quanto cazzo sei bravo ad odiarti»), si trovano anche stravaganti esercizi creativi del calibro di “Robot Writes A Love Song”, dove Babcock racconta una storia mettendosi dal punto di vista di un computer che si strugge per un altro, sopraffatto fino alla morte nell'esperire le reali emozioni umane. «Oh, la prima volta che ti ho visto, lo confesso, mi hai quasi mandato in arresto cardiaco. Erano troppi dati da elaborare. Per favore dimmi, c'è spazio nella tua aorta per un beta test?».

Un po' degli Weezer più spigolosi, un po' dei Jeff Rosenstock più incazzati, i PUP sono ancora una volta furiosi, ironici e anthemici, e continuano a gestire con semplicità e divertimento il continuo caos di un mondo (interiore ed esteriore) che sta per crollare da un momento all’altro, rendendolo incontrovertibilmente melodico, tragico e trascinante ad ogni passo.

 

Le dodici canzoni di The Unraveling Of PUPTHEBAND testimoniano ancora una volta come, nonostante il loro apparente delirio, i PUP siano in realtà lucidi e genuini: una band che cerca ogni volta di suonare quanto più possibile come se stessa e che ad ogni disco è sempre più PUP, con tutto ciò che di bello, caotico, leggero e oscuro questo significhi. Che poi questo risulti una sorta di lunga e avvincente epopea sul loro imminente collasso nervoso, è parte della gioiosa e ironica bellezza del loro “modello di business”.

Perché se anche noi a volte ci sentiamo cadere in pezzi, fallibili e nevrotici, e se il mondo che ci circonda (altro che Babcock e soci) non è altro che un “Patetico Uso del suo Potenziale”, cantare con i PUP questa lenta discesa verso l’autodistruzione non può che essere la catarsi che a volte serve per gettarsi alle spalle ogni esasperante e frustrata battaglia almeno per un po' e abbracciare con un sorriso e un’ampia dose di black’n’dark humor tutta la commovente tragicità che ci circonda e in cui siamo inevitabilmente immersi. E tutto questo, alla fin fine, è semplicemente molto punk.