Sulla piattaforma Mubi il documentario di Crystal Moselle The wolfpack è inserito nella sezione "film sul cinema"; in effetti per la famiglia protagonista del film, gli Angulo, il cinema, insieme alla musica, riveste un'importanza fondamentale nella vita quotidiana dei giovani del nucleo familiare.
I ragazzi Angulo sono sette, sei figli maschi e una femmina, l'ultima, la piccola Visnu. Papà Oscar è un uomo di origini peruviane che non crede nel sistema americano (siamo nell'East side di New York), mamma Susanne è originaria del Michigan, è cresciuta in un paese rurale, per i suoi figli sognava un'infanzia all'aperto, tra i campi, alla luce del sole, in mezzo agli altri bambini, e invece... .
Oscar è affascinato dal movimento Hare Krisha, così ha chiamato i suoi figli con nomi come Mukunda, Narayana, Govinda, Krsna, Jagadisa, Bhagavan e appunto Visnu, tutti nomi provenienti dall'antico sanscrito. Ora immaginatevi sei ragazzi (Visnu è impegnata in altro), adolescenti, che portano i nomi di Govinda, Krsna, Narayana e via discorrendo, chiusi in un piccolo appartamento in un brutto palazzone dell'East Side di New York, quartiere non proprio tranquillo, vestiti di tutto punto, con giacche e cravatte nere, camicie bianche, a impersonare Mr. Pink, Mr. Orange, Mr. White e via di questo passo, armati di pistole di carta fatte in casa con ammirevole maestria, a riprodurre le scene più memorabili de Le iene di Quentin Tarantino negli spazi ristretti di casa loro, con tanto di triello, scena dell'orecchio e dialoghi sopra le righe.
È così che si apre The wolfpack, il documentario di Crystal Moselle, all'apparenza potrebbe sembrare una scena comica o divertente, in parte lo è, la storia degli Angulo potrebbe sembrare una storia di smodata passione per il cinema (e lo è), ma dietro tutto questo si nasconde quella che avrebbe potuto essere una piccola grande tragedia umana che si spera, con gli anni, sia destinata a trovare un lieto fine per tutti e sette questi giovani ragazzi.
Oscar e Susanne si conoscono, sono giovani, si innamorano, vanno a vivere a New York; il progetto era che quella fosse solo una tappa intermedia per trovare un modo di fare qualche soldo e poi spostarsi altrove. Oscar non ama il sistema capitalista americano, decide di combatterlo non lavorando, Susanne ha invece una licenza per fare la maestra, lei però non insegna in nessuna scuola, quando nasceranno i suoi figli, saranno sette, verrà stipendiata per fare da maestra a loro, in fondo è abilitata, in qualche modo in America si può fare.
Oscar però vede New York come un calderone contenente mille pericoli, non si fida della gente, così cresce i suoi figli come dei reclusi, dei prigionieri educati con la paura verso il mondo esterno. Quando davanti alla telecamera della Moselle i più grandi tra gli Angulo (Mukunda, Narayana, Govinda) raccontano la loro storia, ci dicono di come nei loro anni fortunati siano riusciti a mettere piede fuori casa fino a nove volte, in altri anni c'è stata per loro una sola uscita, in altri ancora nessuna.
Per dare un senso a una vita in una casa che in molti sensi sembra essere diventata una prigione, i giovani Angulo si appassionano al cinema, il padre Oscar in qualche modo riesce a portare a casa numerosi dvd, i ragazzi si appassionano ai generi più disparati e attraverso quei film imparano a conoscere il mondo; la loro cultura cinematografica è spropositata e le loro visioni vanno da Le iene e Pulp fiction di Tarantino al Lawrence D'Arabia di David Lean, dal Velluto blu di David Lynch a Casablanca (Michael Curtiz) fino ad arrivare al Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan. Ma gli Angulo non si limitano a guardare i film, ne scrivono le sceneggiature, studiano i personaggi e le battute, assemblano costumi e rimettono in scena, in casa ovviamente, tutti i loro film cult.
L'approccio che la regista Crystal Moselle mantiene nei confronti della storia della famiglia Angulo è molto rispettoso, sembra quasi che questo documentario siano proprio i ragazzi a costruirlo, in fondo di cinema ne sanno abbastanza.
È una storia questa, a tratti molto triste, in cui il cinema riveste un'importanza grandissima, è quasi come se i film per questi ragazzi siano stati una medicina dell'anima, il mezzo che ha permesso loro di conoscere il mondo, di rimanere un gruppo unito, sei fratelli che, nonostante la loro situazione potenzialmente esplosiva, si vogliono bene e trovano l'uno nell'altro e in passioni comuni un motivo per alimentare un certo grado di serenità anche nella loro reclusione.
I loro progetti comuni li hanno aiutati a tenere dritta la barra nonostante un padre padrone, forse in buona fede (avrà voce anche lui nel documentario), che ha negato loro un'infanzia normale. Sarà con l'avanzare dell'età dei ragazzi che arriveranno i primi atti di ribellione, atti che li porteranno a un'apertura graduale al mondo esterno che il padre non potrà impedire, a conoscere la Moselle e altra gente e a recuperare pian piano tutto il tempo perso, nella speranza che non restino segni indelebili di quell'infanzia senza libertà a tormentarli nella loro vita adulta.
In The wolfpack ci sono alcuni passaggi realmente commoventi, in un momento di confronto frontale con la camera ad esempio, quando Mukunda racconta le sue esperienze e tenta di trattenere le lacrime, affermando con un sorriso tirato che non piangerà, ci si trova a fare con lui la stessa cosa, a chiedersi come si possa fare certe scelte per la vita dei propri figli, come si possa negare un'infanzia a quello che ha tutta l'aria di essere un gruppo di ottimi ragazzi (con un look molto cinematografico).
Non c'è un giudizio univoco nello sguardo della Moselle, c'è invece la costruzione di una storia tenera e intrigante, raccontata in maniera onesta e coinvolgente, con un equilibrio di cui i documentari avrebbero sempre bisogno.