The Zen Circus sono incorreggibili. A dispetto dei buoni propositi e dei relativi sentimenti che dovrebbero ispirarci sotto le Feste, loro che fanno? Vanno in giro per l’Italia a promuovere il loro ultimo album, che si chiama, come fosse una provocazione, Il Male.
E visto che anche noi non siamo dei virtuosi, vogliamo cadere in tentazione, dato che l’ultimo episodio della loro ormai densa discografia non ci era dispiaciuto. Probabilmente non siamo dalle parti dei loro incendiari esordi, ma districandoci tra una ballad e un tune forse già sentito, anche nelle produzioni più recenti ritroviamo quello stile e quell’ispirazione che ci aveva catturato agli esordi.
Una volta giunti all’Atlantico, la sensazione è che anche altri la pensino così. Un pubblico giovane e meno giovane ha decretato l’ennesimo sold-out di questo tour, segno che molti altri sono caduti in tentazione.
Ad aprire la serata ci pensa Alessandro Fiori, che riesce a catturare l’attenzione e la simpatia dei presenti con un repertorio che punta sull’atmosfera del suo piano e su testi di amara ironia e stralunato umorismo. Un’esibizione che si conclude con un’ispirata versione de “La casa” di Sergio Endrigo, il brano preferito di Fiori, che rivolge un pensiero ai bambini che in questo momento non stanno vivendo un’infanzia felice.
Nel tempo in cui si risistema il palco, il pubblico nelle prime file fa rimbalzare dei grossi palloncini bianchi. Il pensiero va subito alla recente tirata di Shirley Manson contro uno spettatore che durante un concerto in Australia ha fatto partire una beachball rimbalzante. Non è che vivremo anche noi una scena del genere?
Si fa comunque di nuovo buio in sala e dopo pochi minuti una sequenza di note inquietanti annuncia l’imminente arrivo degli Zen Circus. Si tratta dell’ “Imperial March” di Star Wars. I palloncini spariscono all’istante. Se si voleva trasmettere l’idea del Male in musica, non c’è niente di meglio: dalla Generazione X in giù, tutti afferrano al volo. Solo che sul palco non appare Darth Vader, ma il terzetto di Pisa, che dal vivo è un quintetto. Le note finali della Marcia scemano e si fondono con l’attacco del primo brano, che (coincidenza!) è proprio “Il Male”.
Il pubblico esplode e finalmente si comincia. Andrea Appino, occhiali scuri e Rickenbacker nero-bianca attacca con quel suo timbro inconfondibile, insieme a Massimiliano “Ufo” Schiavelli al basso e Karim Qqru alla batteria, coadiuvati da Francesco “il Maestro” Pellegrini alla chitarra e da Fabrizio “il Geometra” Pagni alle tastiere.
A seguire arrivano “La terza guerra mondiale”, “Catene” e “Non voglio ballare”. Sulle note di “Vent’anni”, a vedere il pubblico che segue scatenato a furia di salti e singalong, mi trovo a pensare che la band si sta giocando molti anthem subito all’inizio e la cosa mi incuriosisce: reggerà l’intensità e la partecipazione del pubblico più avanti nel concerto? Come sarà la reazione quando ci saranno i pezzi nuovi?
Ma sono interrogativi e dubbi subito spazzati via. “Miao” la cantano tutti in coro, compreso l’urletto miagolante (appunto) al culmine del ritornello. “Gattari di tutto il mondo, unitevi!” declama Appino al termine del brano. E il pubblico si lancia in un’ovazione. I gattari qui sono maggioranza non silenziosa.
Seguono tra le altre “Il fuoco in una stanza”, “Ilenia”, Novecento”, e a sentire come il pubblico partecipa sembrano tutte hit. Forse sarò capitato in un punto di fan scatenati o forse ci sono molti ipermnesici qui, fatto sta che sanno tutti i testi a memoria. Ma questo mi conferma in realtà una sensazione che avevo già avuto: anche col passare degli anni si conferma una verve creativa contraddistinta da un sound abrasivo e da testi schietti e viscerali. Nel mondo dei Zen Circus non c’è alcuna remora a parlare di sconfitte e disillusioni, di amare scoperte che segnano e che lasciano ferite. Chi non ci è passato? Chi ascolta Appino e soci probabilmente si ritrova in certe esperienze e ne trae una morale e in un certo senso un riverbero del proprio vissuto.
È per questo che l’immedesimazione è facile sia quando si rappresenta il caos calmo de “Il mondo come lo vorrei”, sia quando partono ballatone come “Un milione di anni” e “Appesi alla Luna”.
Con “Ragazzo eroe” la band passa poi al momento busker. Appare una melodica e un washboard e si suona così, come per strada. Ed è solo l’inizio, visto che proprio questo è il momento scelto per una gara di crowdsurfing su canotto tra Appino e Pellegrini. I due canotti vengono appaiati sopra le teste del pubblico a metà sala, e poi lanciati in una folle corsa verso il palco. Il pubblico partecipa e ride a crepapelle. Shirley Manson, fatti da parte, qui non è roba per te!
Ricomposta alla fine la band sul palco, c’è il tempo per la galoppata finale di brani, conclusa con “È solo un momento”. Nei bis vengono poi proposte “L’anima non conta” versione strappalacrime e la sempre valida “Viva”.
Vivi e anche di più si dimostrano in ogni caso i Zen Circus, che con una salutare scossa durata due ore si confermano una band di grande impatto sonoro e comunicativo, oscillando sempre a proprio agio tra popolare e poetico.
Se temete gli imminenti impegni festivi con musiche atroci e trenini, fatevi un regalo e andate a vedere The Zen Circus per ritemprarvi. E poi cerchiamo di essere tutti più buoni, ma con giudizio.
Le fotografie della serata, a cura di Matteo Nasi
The Zen Circus
Alessandro Fiori

