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REVIEWSLE RECENSIONI
07/02/2020
Wolf Parade
Thin Mind
La band canadese, oggi poco più che un duo, giunge alla quinta prova in studio in cui rinnova, con una produzione moderna e raffinata, lo spirito wave delle origini.

Attenzione spoiler: qui siamo in piena quota Xtc, Cars, Television e il Bowie di “Lodger”, e se non amate questo genere di operazioni retro-maniache siete capitati nel posto sbagliato. Se invece, anche per voi, celebrare in qualunque forma il rock-wave di fine anni 70 è comunque un’occasione per vivere una dimensione ucronica in cui gli anni novanta, da un punto di vista musicale, non sono mai esistiti, non lesinate a fare incetta di cose come queste.


Ma facciamo un passo indietro. I canadesi Wolf Parade appartengono alla generazione boomer dell’indie-rock, un’era prolifica e dorata riconducibile alla prima metà degli anni zero. Nel giro di qualche mese avevano esordito Maximo Park, Arcade Fire, Editors, Clap Your Hands Say Yeah, Bloc Party, Franz Ferdinand e Kaiser Chiefs e chissà quanti altri che, a metterli tutti così in fila, è meglio non chiedersi che ne è stato o come se la passino oggi, a quindici anni di distanza.

A dare un segnale di vita e a smentire i detrattori del valore dell’indie degli anni zero ecco però “Thin Mind”, il quinto lavoro dei Wolf Parade, formazione minore canadese che, a dispetto della storia recente costellata di progetti paralleli e spin off dei due padri fondatori Spencer Krug e Dan Boeckner, conserva ancora un’identità artistica in linea con quella degli esordi. Una considerazione positiva o negativa? Dipende. Non essendo stati mai particolarmente prolifici in questa formazione - una media di un disco ogni tre anni - pur senza aver dato alle stampe capolavori, i Wolf Parade non hanno mai stufato e con “Thin Mind” si confermano sempre riconoscibili nel loro stile, derivativo tanto quanto quello dei più blasonati gruppi annoverati nella lista dei loro coevi ma, tutto sommato, di piacevole ascolto.

Non sarebbe nemmeno giusto cercare di intercettare ancora, in “Thin Mind”, la componente di irruenza elettrica e a tratti garage di “Apologies to the Queen Mary”, ma non per questo la band sembra trascurare la ricerca sonora e l’istinto crudo e ingenuo delle radici. In palese coerenza lungo un percorso verso la maturità, i Wolf Parade seguono il cammino già tracciato con il precedente “Cry cry cry”, schierandosi però maggiormente dalla parte dei sintetizzatori malgrado il benvenuto all’ascoltatore lo dia “Under Glass”, uno degli episodi al 100% rockettari tra i dieci che compongono l’album.

L’atmosfera si fa decisamente più originale e disinibita con “Julia Take Your Man Home” e con la veloce e bella “Forest Green”, dal giro di accordi tipicamente wave e dai ricami di synth che tirano le fila delle strofe. Il tributo a Ric Ocasek è evidente in “Static Age”, mentre “As Kind as you Can” e “Fall Into the Future” richiamano le timbriche dei colleghi Arcade Fire, con una forte personalità compositiva di base. “Wanderin Son”, la traccia successiva, è sicuramente l’episodio più convincente del disco, mentre la palma dell’originalità va a “Against the Day”. L’album si chiude con “Town Square”, un ritorno al rock più scarno e bowieano della prima traccia che si sviluppa persino in una travolgente scomposizione strumentale di addio, o arrivederci o, anzi, di ritorno al principio.

Nell’insieme manca un guizzo, un singolo in grado di fare la differenza e di caratterizzare l’album. Nonostante ciò, “Thin Mind” si conferma una buona prova di una band che dimostra di non aver perso la voglia di comporre, suonare, arrangiare, citare i maestri e divertire.


TAGS: indie | recensione | review | Wolf Parade