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REVIEWSLE RECENSIONI
10/03/2023
Paramore
This Is Why
Con “This Is Why” i Paramore mettono in atto una nuova rinascita artistica. Questa volta guardano al post punk di fine anni Settanta e al dance punk di metà Duemila. Obiettivo centrato anche questa volta.

Se nel febbraio del 2010 qualcuno mi avesse detto che 13 anni dopo avrei ascoltato con (grande) soddisfazione e recensito favorevolmente un disco dei Paramore, lo avrei perso per pazzo. All’epoca, infatti, la band di Hayley Williams stava spopolando in Italia con il singolo “The Only Exception”, incluso in un album – Brand New Eyes, prodotto da quel volpone di Rob Cavallo – che rappresentava allora quanto di più lontano dai miei gusti. E non aiutava il fatto che solo l’anno prima “Decode” fosse uno dei brani di punta della colonna sonora di Twilight: anche se il pezzo veniva etichettato come emo, tra “quei” Paramore e i “miei” Jimmy Eat World c’era obbiettivamente un abisso. Quando, nel dicembre dello stesso anno, venni a sapere che i fratelli Josh e Zac Farro avevano abbandonato polemicamente la band, ero convinto che i Paramore fossero giunti al capolinea e che sarebbero diventati una meteora come tante.

Non la pensava allo stesso modo Hayley Williams: promosse Taylor York alla chitarra, chiamò Ilan Rubin dei Nine Inch Nails a suonare la batteria e la band continuò. Così, nell’aprile del 2013, dopo aver letto una recensione di Stephen Thomas Erlevine su AllMusic (il mio guru) ascoltai con curiosità il nuovo album della band. Intitolato giustamente Paramore, a simboleggiare un nuovo inizio, il disco mi presentava una band che aveva fatto un salto quantico in avanti, abbandonando un pop punk di facile presa in favore di un alternative rock scritto ed eseguito con gusto e tante idee. Aiutati dal bassista di Beck Justin Meldal-Johnsen, i Paramore sperimentavano con la new wave, con lo shoegaze e il dream pop, e anche quando andavano a lambire i confini del pop lo facevano con un pezzo crossover come “Ain’t It Fun”, che ibridava sapientemente funk, alternative e new jack swing.

Da qui in poi i Paramore hanno iniziato a giocare in un altro campionato, dimostrando di essere una band di assoluto livello. La carica melodica e la duttilità vocale di Hayley Williams assieme alla capacità di scrittura del chitarrista Taylor York (in pratica un Jack Antonoff in minore) erano alla base anche dell’ottimo disco successivo, After Laughter (2017). Lì i Paramore pescavano a piene mani dagli anni Ottanta, accogliendo nel loro sound elementi di synth pop e new wave, tanto che il risultato finale ricordava molto – ovviamente con i distinguo del caso – un disco perduto dei Talinkg Heads epoca Little Creatures oppure dei Tom Tom Club (anche se nel finale piazzavano con “No Friend” una notevole zampata post-hardcore).

Negli anni che hanno separato After Laughter a questo nuovo This Is Why, Williams ha dimostrato ulteriormente di essere cresciuta come autrice ed interprete, prima collaborando con gli American Football nel loro terzo disco e poi pubblicando due notevoli album da solista (Petals for Armor e Flowers for Vases / Descansos), dove ha ospitato le boygenius (Julien Baker, Phoebe Bridgers e Lucy Dacus) e sperimentato con atmosfere più intime.

Proprio durante la lavorazione di Petals for Armor (prodotto da Taylor York e a cui ha contribuito anche il rientrante Zac Farro) ha iniziato a emergere la figura di Carlos de la Garza (Bad Religion, Beast Coast) che in Paramore e After Laughter aveva svolto il ruolo di ingegnere del suono. È a lui che i Paramore hanno affidato la produzione del loro ottavo lavoro, This Is Why, un album dal suono ruvido e nervoso, in cui la band di Nashville da un lato guarda al post punk di fine anni Settanta (i Gang of Four di Entertainment!, per esempio) e dall’altro al dance punk di metà anni Duemila (Foals, The Raputre e Bloc Party).

Il risultato è un disco convincente, che testimonia l’ennesima rinascita artistica dei Paramore. In This Is Why, infatti, la band riesce a far convivere ispirazione e mestiere, mischiando l’energia e la frenesia degli esordi con la consapevolezza e la maturità conquistate dopo quasi vent’anni di carriera (Williams è stata messa sotto contratto a 14 anni, ora ne ha 34).

Suonato e registrato magistralmente, il disco beneficia di una produzione molto anni Settanta, che lascia ampio spazio agli strumenti e alle dinamiche. Le chitarre di York sono in primo piano, affilate come un rasoio, mentre il basso di Brian Robert Jones si distingue per il gusto delle linee melodiche e per il suono ottenuto. Incisiva anche la prova di Zac Farro, qui in versione Mick Fleetwood: i suoi lanci di batteria all’apparenza sembrano semplici e al servizio della canzone, ma dopo ripetuti ascolti rivelano un musicista al massimo delle sue potenzialità.

L’MVP del disco, però, è – ovviamente – Hayley Williams. A suo agio nei brani più uptempo come la title track, “You First” (forse il pezzo realmente più vicino ai Bloc Party di Silent Alarm) oppure nel (velato) math rock di “The News”, si lancia in un recitar cantando alla Florence Shaw in “C’est Comme Ça” (anche se va detto che i testi della frontwoman dei Dry Cleaning sono inarrivabili), mentre in “Liar” si misura con un pezzo che potrebbe aver scritto l’amica Phoebe Bridges. E se un brano come “Big Man, Little Dignity” ha un ritornello notevole, è quando le atmosfere si diradano che Williams dà il meglio di sé, come nella sognante “Crave” (che mette insieme i Fleetwood Mac e lo shoegaze) e nel malinconico finale di “Thick Skull”, ironia della sorte il primo pezzo che la band ha scritto per l’album.

L’uscita di This Is Why segna la fine del contratto che i Paramore avevano firmato con la loro casa discografica, la Atlantic, nel 2003. La band ovviamente non smetterà di fare musica, ma ha annunciato che si muoverà da free agent. Probabile quindi che in questa situazione maturino le condizioni per una nuova rinascita artistica. Nel 2010 tutto ciò non avrebbe suscitato in me nessun tipo di interesse, anzi. Ma vista la bellezza degli ultimi tre album del gruppo, sono proprio curioso di sapere quale sarà la prossima tappa del loro viaggio musicale.