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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
21/06/2021
Amy Helm
This Too Shall Light
Il secondo album di Amy Helm è colmo di spiritualità, ribollente di vita e passione, un ammaliante viaggio al centro dell’anima. Il tocco di Joe Henry alla produzione e un'entusiasmante backing band garantiscono un che di magico alle dieci canzoni, interpretate con il cuore dall’artista americana.

“Love, are we ready for this day

Should it come and find us

Asking that we say farewell

Are you leaving now my dear

Even as I leave you

Taking my heart, and it’s song now

As you do.”

“Amore, saremo pronti per questo giorno nel caso dovesse arrivare a trovarci…ci chiederebbe di dirci addio. Tu ora stai partendo, mio caro, è come se ti lasciassi io, prendendo il mio cuore, e ora è una canzone, come hai sempre fatto tu”.

(Da Heaven’s Holding Me).

 

This Too Shall Light va dritto al cuore, emoziona subito, fin dal primo ascolto. Il segreto di questa magia sta nel sofferto canto di Amy Helm unito alle meravigliose, profonde armonie vocali di Adam Minkoff e del duo Allison Russell/JT Nero, meglio conosciuti come Birds Of Chicago.

La scelta compiuta dalla polistrumentista americana di registrare queste parti nello stesso momento e in un’unica stanza è risultata vincente. Potendosi vedere e ascoltare, gli artisti sono riusciti a dare il meglio di se stessi e creare le basi di un disco fenomenale, molto spirituale.

Chiamiamolo, come dice proprio la Helm, “Circular Sound”: la presenza di tali voci sull’album porta a un suono che si collega a ogni canzone. Ecco cosa si intende per circolare. La reale connessione, il cosiddetto filo conduttore, sono l’eufonia e l’arrangiamento dei cori. Questo è il centro di gravità da cui si dipanano dieci piccoli capolavori in cui l’intervento di musicisti illustri impreziosisce uno scenario di roots music, la cosiddetta Americana, in realtà miscela non catalogabile di folk rock, country e blues.

Registrato in quattro giorni, spesso in presa diretta e alla prima prova, è un’opera fresca che dà nuova vita all’attività artistica della musicista, dopo l’esordio Didn’t It Rain nel 2015 e gli svariati progetti a cui si era legata in precedenza. Amy è infatti un membro fondatore dei newyorkesi Ollabelle, gruppo di nicchia dalle sfumature gospel, soul e bluegrass, oltre ad aver partecipato e seguito da vicino tutte le vicende del padre, Levon, una vera istituzione già solo citando il suo ensemble, stiamo parlando di The Band...

Proprio un loro caratteristico brano degli inizi, quando si chiamavano ancora Levon and the Hawks, dal titolo The Stones I Throw, compare in scaletta, quasi a sigillare il passaggio di testimone. Comunque, procedendo con ordine, è la title track che focalizza la direzione e convince con il suo groove oscillante, la sua potenza spiritual.

Scritto da MC Taylor e dal maestro tuttofare Josh Kaufman (da Bob Weir ai The National, fino a Josh Ritter e Taylor Swift) è un vero “pezzone”, che consente anche di presentare al completo l’organico di alto rango convocato da Joe Henry. Troviamo l’ispirato Doyle Bramhall II alla chitarra, poi Jay Bellerose, uno dei più incredibili batteristi folk-pop-rock esistenti su questa terra, che nel suo background vanta influenze blues e jazz, infine due “session men” con i fiocchi come Tyler Chester all’organo, piano, tastiere e Jennifer Condos al basso. La possibilità di riscatto può arrivare in ogni istante per l’essere umano e questo concetto è ben congegnato nelle liriche che lasciano trasparire una serenità, appunto, da raggiungere.

“This too shall light

Every moment to the letter

This too shall light

Poor heart go farther.”

“Anche questo si illuminerà, letteralmente ogni momento si illuminerà pure, spingiti oltre, povero cuore.”

I due brani che seguono tolgono il respiro per bellezza e interpretazione. Odetta, perla scritta dal produttore Henry in persona, è un’audace invocazione agli antenati, comandata da un piano ribollente di richiami smaccatamente gospel, che nelle sue note sprizza in egual misura demonio e santità.

La malinconica Michigan, cover dei Milk Carton Kids, gruppo indie californiano che ha appena festeggiato i dieci anni d’attività, è invece una ballata che fa trattenere a stento le lacrime, complice un riff d’organo da paradiso e la sofferta, perfetta armonia delle voci. Il testo, molto profondo, triste e misterioso, parla di come si dovrebbe affrontare una perdita, ma pure dell' insormontabile difficoltà a superarla, nonostante tutti i tentativi.

Analizzando alcune squisitezze prettamente stilistico-musicali risulta davvero notevole la combinazione Bramhall II/Chester nella costruzione della catartica Freedom For The Stallion, presa dal repertorio dell’indimenticabile Allen Toussaint. E’ quantomeno sorprendente, poi, come basti una ruspante slide guitar a infarcire di freschezza la dolcezza di Mandolin Wind, mentre è commovente l’interplay tra i musicisti coinvolti nell’autografa Heaven’s Holding Me, dove la Helm si cimenta al mandolino, facendo ricordare papà. E uno squisito traditional, nutrito dal formidabile arrangiamento ideato anni fa proprio insieme al padre Levon, chiude magistralmente la raccolta. Gloryland è un coro spiritual a cappella, avvolgente come una pesante coperta di lana in una serata di pioggia invernale. Ogni volta che viene ascoltato lascia un profumo di freschezza quanto un fiore di montagna appena sbocciato, sembra che Amy e la sua band l’abbiano appena registrato per chi volesse, per primo, odorarlo.

Un’ultima osservazione la merita la copertina del disco. Viviamo un’era dove la prima cosa che una volta balzava all’occhio può diventare l’ultima o addirittura non rappresentare più motivo di discussione. E invece anche nella bellissima fotografia di Ebru Yldiz è racchiuso il senso del disco: l’immagine lontana di Amy Helm in mezzo agli alberi, sotto un cielo leggermente plumbeo. Contemplazione e ricerca di pace in mezzo alla natura, ascoltando i suoi rumori. Applausi.


TAGS: alessandrovailati | AnyHelm | loudd | review | ThisTooShallLight