A 33 anni dalla loro formazione (1986), a circa 25 anni dal loro primo acclamato debutto (For God and Country, 1995), a 7 anni dalla pausa quinquennale che si erano presi nel 2007 e a 4 anni dal loro precedente album (Peace In Our Time, 2015), i Good Riddance tornano con Thoughts and Prayers, una sintesi di tutto quello che i fan possono volere da loro: un ottimo punk hardcore veloce, melodico e arrabbiato, condito da testi densi di commenti sociali e politici, pronti a riflettere con serietà, intelligenza e consapevolezza sul clima socio-politico del mondo in cui stiamo vivendo. Il tutto in soli 28 minuti.
Come mai “Pensieri e preghiere”? Perché, come quasi sempre succede con i titoli degli album dei Good Riddance, si gioca con le parole più tradizionali e patriottiche portandole fuori dal loro contesto. E in questo caso, in quanto americani che non credono che “pensieri e preghiere” siano una risposta sufficiente al flagello della violenza armata nel loro paese, hanno pensato che sarebbe stato un buon promemoria alle tiepide risposte pubbliche fornite dai politici di fronte ai molti eventi di sangue che costellano la cronaca americana.
Prodotto e mixato anche questa volta da Bill Stevenson e Jason Livermore (a cui la band si affida sin da Operation Phoenix nel 1999) e registrato negli studi della loro The Blasting Room a Fort Collins, Colorado, Thoughts and Prayers presenta tutte le caratteristiche sonore e testuali i fan hanno imparato ad amare, con la sola piccola novità di una canzone in spagnolo, "Lo Que Sucede". Russ Rankin, frontman e vocalist, si è infatti tolto lo sfizio di scrivere una canzone in spagnolo, sia perché è una lingua che padroneggia bene, sia perché, avendo sempre pensato che i brani punk hardcore cantati in spagnoli fossero particolarmente incazzati, voleva farne uno anche lui. E come dargli torto, visto l’ottimo risultato.
Sperimentazioni linguistiche a parte, i testi di Rankin (da sempre influenzati da songwriters del calibro di Greg Graffin dei Bad Religion e di Richard Butler dei Psychedelic Furs) riescono anche in quest’occasione ad esprimere tutta la rabbia e la delusione nei confronti della società e della politica odierna con grande equilibrio, senza mai legarsi troppo ai fatti e ai nomi e cognomi dell’attualità. Quelle che sono prese di mira e su cui si viene invitati a riflettere sono infatti questioni che hanno radici più profonde di un cattivo presidente, e si legano piuttosto al tema della diseguaglianza, della consapevolezza sociale e politica, del sistema socio-economico spesso corrotto in cui viviamo e alla disperazione che spesso le persone incontrano nel viverci.
Un sentimento, questo, ben rappresentato sin dalla prima traccia di Thoughts and Prayers, “Edmund Pettus Bridge” (il ponte celebre per essere stato teatro delle marce da Selma a Montgomery nel 1965, simbolo della lotta per i diritti civili dei neri dopo gli assalti della polizia ai manifestanti nel famoso Bloody Sunday) la quale apre con le parole di Gordon Gecko dal film del 1987 di Wall Street, prima di scatenare le chitarre in dei grandi riff punk hardcore:
“L'1% più ricco di questo paese possiede più della metà della ricchezza di questo paese; cinque miliardi di dollari. Hai il 90% del pubblico americano là fuori con poco o nessun valore netto. Facciamo le regole, amico. Le notizie, la guerra, la pace, la carestia, lo sconvolgimento, il prezzo di una graffetta. Prendiamo il coniglio dal cappello mentre tutti sono seduti lì a chiedersi come diavolo l'abbiamo fatto. Ora non sei abbastanza ingenuo da pensare che viviamo in una democrazia, vero amico?”
Seguono la rapidissima “Rapture” (46 secondi di canzone) e i due bellissimi singoli “Don’t Have Time” e “Our Great Divide”, l’uno che parla delle continue e inutili guerre che gli Stati Uniti continuano ad intraprendere solo per mantenere un predominio di facciata e l’altro che riflette sulla polarizzazione senza precedenti della società americana. “Wish You Well”, pur rallentando solo apparentemente il tiro, diventa una delle migliori canzoni del disco grazie ai suoi cori, mentre “Precariat” rialza nuovamente i bpm, ragionando sulla fragilità dell’esistenza umana, complicata ulteriormente dalle pressioni culturali a cui è sottoposta ai tempi d’oggi. Segue “No King But Caesar”, che si lancia a velocità nei suoi riff, attestandosi come una delle più pesanti e interessanti dell’album.
La seconda parte dell’album, composta da “Who We Are”, “No Safe Place” e “Pox Americana”, risulta invece meno brillante e innovativa, ma riprende tono con l’ottima “Lo Que Sucede”, forse la migliore del “lato b” di Thoughts and Prayers.
I Good Riddance non hanno di certo cambiato il mondo, ma con la loro musica hanno inciso profondamente nelle vite di molte persone. I fan da anni raccontano con il cuore in mano di quanto la band e i testi di Russ Rankin li abbiano introdotti alla consapevolezza sociale, all’azione politica o al vegetarianismo (Ruskin è vegano dal 1993), o li abbiano anche solo fatti pensare e riflettere sul mondo in cui vivono.
Quindi ora chissà, i vecchi fan ritroveranno ancora una volta i loro beniamini, i più critici troveranno qualche cosa che non li convince appieno e torneranno ad ascoltare i vecchi album, ma magari ci sarà ancora qualche nuovo kid che ascoltando le loro note e i loro testi scoprirà qualcosa di nuovo o, per lo meno, si innamorerà di una grande band.