Non è la prima volta che i Marvel Studios riescono nell'impresa di portare sullo schermo con buoni risultati personaggi considerati minori, almeno per quel che riguarda l'economia del Marvel Universe classico (ci riferiamo a quello cartaceo, i cari vecchi fumetti). Il tentativo aveva avuto successo già con i Guardiani della Galassia, e se stiamo a ben pensarci anche Black Widow, Shang-Chi, Black Panther non sono proprio paragonabili ai grossi calibri come Hulk, Thor, Capitan America o Iron Man.
Se per alcuni degli episodi sopra citati qualche dubbio sulla buona riuscita dell'operazione poteva anche rimanere, con Thunderbolts* il regista Jake Schreier e soci sembrano essere riusciti a lasciarsi alle spalle pesantezze e complicanze legate a tutte le varie questioni nate con il multiverso e a costruire di conseguenza un film semplice, chiaro, lineare, divertente e fruibile più o meno da tutti.
L'unico piccolo neo che rimane nella gestione del Marvel Cinematic Universe è la questione legata all'amata/odiata continuity che ancora lascia la sensazione di essersi persi qualcosina se non si sono visti tutti i film precedenti dei Marvel Studios; chi vi scrive ad esempio non ha avuto modo di guardare ancora Marvels e Capitan America: Brave New World e in qualche passaggio, per carità nulla di irreparabile, l'impressione di riscontrare la presenza di piccoli vuoti qua e là comunque la si avverte.
Dopo la morte della sorella, Yelena Belova (Florence Pugh) ha perso interesse per il suo lavoro ed è entrata in una sorta di depressione acuita dalla lontananza dal patrigno Alexei (David Harbour), il Guardiano Rosso. La mercenaria decide così di porre fine alla serie di incarichi che sta portando avanti per la direttrice della C.I.A. Valentina Allegra de Fontaine (Julia Louis-Dreyfus) la quale è sotto processo per attività illecite svolte nell'esercizio delle sue funzioni; a tentare di provare le sue malefatte c'è anche Bucky Barnes, il Soldato d'Inverno (Sebastian Stan), ora deputato al congresso.
Yelena accetta di portare a termine un'ultima missione per la de Fontaine che segretamente sta cercando di togliere di mezzo tutte le prove delle sue missioni illecite; con uno stratagemma riunisce quindi in un complesso segreto alcuni personaggi per le potenzialmente compromettenti: Yelena ma anche John Walker (il Cap dei poveri U.S. Agent interpretato da Wyatt Russell), Ghost (Hanna John-Kamen) e Taskmaster (Olga Kurylenko).
Qui il gruppo di agenti a pagamento si trova intrappolato insieme a Bob (Lewis Pullmann), un ragazzo timido e introverso, evidentemente in stato confusionale, soggetto (ab)usato per portare avanti il fantomatico progetto Sentry i cui frutti si vedranno solo a film inoltrato.
Il gruppo scombinato, dopo essersele date di santa ragione, si troverà a dover collaborare per sfuggire alla trappola tesa loro dalla de Fontaine prima, e ad affrontare l'involontaria minaccia di Sentry dopo, roba da far tremare le gambe anche ai più potenti tra gli AvengerZ.
Thunderbolts* non presenta nessun elemento innovativo all'interno del Marvel Cinematic Universe ma vanta almeno il merito di essere un film divertente e soprattutto non troppo cervellotico; si abbandonano quindi le trame del multiverso per costruire un nuovo gruppo di (anti)eroi che guarda al futuro, lo fa magari portandosi appresso diversi legami con il passato, senza troppo innovare ma provando anche ad affrontare oltre alle minacce di turno temi più che mai attuali e per nulla leggeri, vedi la depressione, la mancanza di direzione, i traumi capaci di condizionare un'intera esistenza e la forza che può nascere dall'aiuto e dalla vicinanza di altre persone, siano essi amici, familiari o semplicemente nuovi compagni di viaggio che la vita ci ha messo accanto per caso, nuovi compagni di dolore e disgrazia con i quali dividere e affrontare i momenti bui (e qui bui lo sono davvero).
Per far questo si pesca dal catalogo infinito della Marvel Comics il personaggio di Sentry, essere potentissimo ma portatore di un lato oscuro incontrollabile che è perfetta metafora dei traumi, delle solitudini e delle depressioni dell'animo umano e che danno vita a Void, l'altra faccia della medaglia del "solare" Sentry, un essere che guarda ai disturbi che sembrano essere propri di questi tempi difficili e proprio per questo molto più spaventoso di altri.
La regia di Schreier gestisce bene i momenti scanzonati (che non mancano), quelli cupi di cui abbiamo già detto organizzando un tour nelle "stanze della vergogna" dei diversi protagonisti offerto dal mite Bob, quelli tamarri (l'entrata in azione di Bucky in moto), e quelli puramente action che guardano alla tradizione Marvel all'epoca degli Avengers (*al momento non disponibili).
Sul versante degli interpreti Harbour gigioneggia di classe con il suo personaggio in costante ricerca di gloria ma in fondo genuino, la Louis-Dreyfus giostra bene il suo finanche esagerato freddo distacco di fronte a ogni sorta di pericolo e accusa, la Pugh sta una spanna sopra tutti, peccato questo accento marcatissimo russo nella versione italiana che, insieme a quello del patrigno, a tratti sembra davvero forzato (bisognerebbe provare la V.O.). Nessuna rivoluzione quindi, però un film più che godibile oltre ogni più rosea aspettativa.