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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
10/04/2020
Sulla querelle Battiato / Murgia
Tra la Murgia e i fan di Battiato scelgo la Murgia
Il problema di questa polemica non è la Murgia e i suoi giudizi (veri o falsi, superficiali o profondi) su Battiato. Il problema è il fatto che in Italia, paese notoriamente poco preparato dal punto di vista musicale, siamo riusciti a divinizzare alcuni nomi e li abbiamo resi patrimonio nazionale a prescindere da tutto quel che sta loro attorno.

Mi perdonerete se torno sopra al polverone sollevato la settimana scorsa da Michela Murgia, quando, durante una puntata di “Buon vicinato”, il format condotto assieme a Chiara Valerio, ha sostenuto che Battiato è uno di quei cantautori “finti intellettuali” i cui testi “salvo due o tre”, sono delle “minchiate pazzesche” che “non significano nulla”.

Ora, la Murgia non mi sta simpatica, trovo il suo lavoro sul Fascismo superficiale, ideologico ed in gran parte espressione di questo nuovo totalitarismo del politically correct che sta man mano uccidendo ogni pensiero critico ed ogni opinione provocante e divisiva. È questo il vero male, non certo il Fascismo di ritorno o quel razzismo che si sta cercando di vendere come la più grande minaccia alla nostra civiltà.

Proprio per questi motivi, le reazioni indignate a quelle dichiarazioni, reazioni di tale potenza e livore da far dimenticare per parecchi giorni temi e situazioni ben più importanti, mi hanno non solo disturbato ma mi hanno fatto anche prendere coscienza del fatto che forse la Murgia è rimasta vittima dello stesso nemico che vuole combattere, un nemico che potremmo anche chiamare fascismo, ma che non è assolutamente quello che ha in mente lei, sicuramente non dal punto di vista della forma.

In questo caso sto dalla parte della Murgia, sia chiaro. Non solo, la difendo a spada tratta. Non certo perché sono d’accordo con lei nello specifico e neppure perché se ci si fosse presi la briga di andare oltre quelle sue o tre battute incriminate, ci si sarebbe accorti che nei minuti successivi, lei e Chiara Valerio si sono lanciate in una discussione sul rapporto tra testi e musica, significato letterale e metaforico, interpretazione e comprensione immediata che, nonostante non fosse esattamente di livello eccelso, ha comunque avuto un suo interesse ed è se non altro servita ad inserire nel giusto contesto quelle due battute incriminate (è il solito problema che ormai conosciamo bene: la battuta fuori dal contesto, si virgoletta quella e la si attacca tralasciando del tutto la complessità del discorso).

Sto dalla parte della Murgia perché bisogna uscire da questa logica per cui dei giudizi critici diventano dogmi che non possono essere attaccati pena un brutale autodafé (così citiamo pure Battiato e facciamo contenti gli indignati). Bisogna uscire da questa logica per cui le discussioni devono essere sempre per forza pacate, rispettose e soprattutto non dialettiche; questa logica per cui io parlo solo con chi confermerà le mie opinioni e non metterò mai in crisi le certezze dell’altro perché non sia mai che si turbi ed inizi a credere che il mondo è un posto molto più brutto e complesso di quello che pensava lui (ne parla molto bene Bret Easton Ellis nel suo ultimo libro ed il fatto che sempre di più escano testi che tendono a puntare il dito contro questo stato di cose, è in qualche modo confortante, anche se non certo risolutivo).

Il problema di questa polemica non è la Murgia e i suoi giudizi (veri o falsi, superficiali o profondi) su Battiato. Il problema è il fatto che in Italia, paese notoriamente poco preparato dal punto di vista musicale, siamo riusciti a divinizzare alcuni nomi e li abbiamo resi patrimonio nazionale a prescindere da tutto quel che sta loro attorno. La sacra triade Battisti, Battiato, De André è stata innalzata da un manipolo di critici assurti al ruolo di infallibili custodi del sapere, messa in un mausoleo e preservata non solo dagli attacchi, ma anche da discussioni di qualsivoglia sorte. E questo, badate bene, mentre la conoscenza musicale nel nostro paese è sotto zero, mentre la chiusura mentale alberga e dove basta citare “La cura” (il cui testo, per inciso, l’ha scritto Sgalambro, come anche gran parte della produzione più recente del nostro) per mandare in delirio l’opinione pubblica.

E allora, direte voi, dov’è il punto? Il punto è che mi piacerebbe che qualcuno, di fronte all’obiezione (ovviamente superficiale e poco o nulla argomentata) che i testi di Battiato non vogliono dire nulla, si sia preso la briga di rispondere, citandone qualcuno e analizzandolo, mettendolo in relazione col contesto storico in cui è nato quel determinato brano o, peggio ancora, allargare un po’ l’orizzonte al cantautorato in generale, parlando del rapporto tra testo e musica e citando magari anche l’opera di nomi meno conosciuti ma altrettanto validi (gli pseudo esperti conoscono Battiato, certo ma poi Paolo Benvegnù o Flavio Giurato manco sanno chi sono). Addirittura, si sarebbe potuto spiegare meglio che cosa si intende per “intellettuale” e perché per certi nomi della musica si senta per forza di cose il bisogno di usare tale parola per definirli. Battiato è un intellettuale? E perché mai? L’espressione “grande artista” pareva troppo poco? Sul serio, sarebbe bello discuterne. Non mi risulta che sia accaduto niente di questo. Solo grida sguaiate del tipo: “Come osa?” e “Ma questa cosa vuoi che ne capisca?”.

Certo, ci ha provato Chiara Valerio: non è stata molto convincente e poi la discussione si è arenata ma almeno è stato un tentativo utile.

Viviamo in un mondo ovattato, fatto di certezze racchiuse in bolle e dove la polemica consiste solamente nel fermare sul nascere il tentativo di qualcuno che prova a farci aprire gli occhi, a dirci che quelle certezze forse andrebbero analizzate e sviscerate un po’ di più, a dirci che la ragione è ancora uno strumento che possiamo usare, nonostante per molti sia da tempo atrofizzato.

Da ultimo, se si voleva davvero attaccare la Murgia per qualche vaccata detta in quell’occasione, sarebbe stato forse meglio farle notare, come ha saggiamente rimarcato uno dei miei contatti su Facebook, che “Madama Butterfly” e “Tosca” non sono esattamente opere ottocentesche, come da lei definite qualche minuto prima (oddio, ad essere pignoli forse “Tosca” sì ma proprio solo dal punto di vista temporale).

Che si discuta davvero, se si vuole discutere. Che siano discussioni accese, animate, profonde. Altrimenti torniamo nei nostri orticelli e ascoltiamo la nostra musica preferita. Ma, per carità, senza che ci venga il bisogno di farlo sapere a tutto il mondo.


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