Quando esce la Trilogia dei colori, nella prima metà degli anni Novanta, Krzysztof Kieslowski è ormai alla fine della sua carriera. I tre film ispirati ai colori della bandiera francese (la Francia è patria artistica adottiva per il regista polacco) sono il suo ultimo sforzo d'artista, una morte improvvisa lo coglierà un paio d'anni più tardi all'età di soli cinquantacinque anni.
Kieslowski torna a un progetto articolato su più film, dopo che parecchi anni prima aveva già realizzato il suo Decalogo, una serie di film brevi ispirati dai dieci comandamenti. Per la Trilogia dei colori il regista guarda non solo alla bandiera francese, ma anche al motto ufficiale della Repubblica, quel celebre Liberté, égalité, fraternité che compare proprio nella costituzione del Paese.
Film blu è il primo atto di questo progetto, il blu è abbinato alla prima parola del motto, quel liberté che tra le immagini del film assume un significato molto personale, lontano dai temi sociali e politici per i quali il motto vorrebbe essere di grande ispirazione e costante riferimento. E' una libertà dai legami quella che Kieslowski ci racconta, una libertà che si spera possa affrancarsi dal dolore da cui nasce, una libertà di tornare alla vita, una piccola vittoria dopo un periodo molto buio.
Julie Vignon (Juliette Binoche) è sposata con un celebre compositore di musica, i due sono genitori di una bambina ancora piccola. Durante un viaggio in auto il marito di Julie perde il controllo del mezzo finendo contro un albero a grande velocità. Nell'incidente muoiono sia l'uomo che la bambina, Julie si sveglierà in ospedale solo qualche tempo dopo e qui riceverà la notizia della morte della sua famiglia.
Dopo un maldestro tentativo di suicidio, la donna affronterà l'immenso dolore effettuando una sorta di cancellazione sistematica dei sentimenti e dei ricordi, abbandonando la sua casa, eliminando oggetti e tutto ciò che le possa ricordare marito e figlia, arrivando anche a sopprimere le creazioni artistiche che il marito, con il suo stesso aiuto, stava da tempo portando avanti essendo stato invitato per aprire le celebrazioni dell'Unione Europea.
Volenti o nolenti la vita però continua: gli incontri di tutti i giorni, la nuova casa, le questioni legali, i rapporti della vita precedente, tutte interazioni che sembrano bussare alla porta e al cuore ormai freddo di Julie. Ma per quanto tempo una donna può vivere senza contatti, senza provare nulla, senza emozioni di qualsiasi tipo?
Il film si apre con delle belle trovate di regia (la camera sulla parte bassa dell'auto, il gioco di luci sul volto della bambina, più avanti il focus sulla pupilla della protagonista) e presenta da subito una struttura simbolica che rende anche intuibile qualche passaggio, per poi entrare nell'animo della protagonista devastata dal lutto, difficile da leggere nella glacialità che una Binoche stupenda riesce a trasmettere.
Come da titolo, la fotografia di Siawomir Idziak ricorre molto spesso ai toni del blu e delle sue gradazioni. Si pensi al lecca lecca della piccola che Julie ritrova dopo la sua morte e che divora, non si sa bene se in preda a un desiderio di comunione o di distruzione, alla lampada blu che ritorna più volte, alle sequenze in piscina dove la protagonista trova un elemento (vitale) di distensione e di dolore allo stesso tempo, l'acqua, le pareti, sono azzurre, alcune luci riprendono le stesse tonalità, e via di questo passo.
Tutto il film è caratterizzato dal colore e dalla musica, dai significanti espliciti a sottolineare gli elementi del racconto (il dito sullo spartito) i quali ci dicono di un dolore e di un tentativo di cancellazione dello stesso attraverso la rimozione totale della sua causa e di un isolamento progressivo che non può durare. Poi una riapertura.
Entrambi i passaggi sono espressi da una Binoche sempre presente sullo schermo, una costante, protagonista assoluta di una prova difficile da gestire che l'attrice parigina porta a compimento con grande maestria (César e Coppa Volpi a Venezia). Nella sottrazione della Binoche non c'è solo un dolore inespresso, c'è l'enigma della maternità (che si ripresenta, con i topi, con l'amante del marito), c'è la rinascita alla vita, c'è un animo di fondo non portato all'isolamento. Poi c'è la musica, ovunque, parte integrante della trama e accompagnamento.
Film molto riuscito, privo di picchi ma denso e profondo eppure agevole allo stesso tempo. Cinema d'autore, di classe, europeo per definizione.