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REVIEWSLE RECENSIONI
20/10/2018
Twenty One Pilots
Trench
Quando la libertà più assoluta nella creazione e la competenza più elegante nella composizione raggiungono lo stesso livello della profondità con cui ti entra nell’anima, allora c’è una sola parola con cui si può definire il risultato. Capolavoro.

Si potrebbe scrivere dell’ultimo (capo)lavoro dei Twenty One Pilots in molti modi.

Si potrebbe scrivere di come, anno dopo anno e disco dopo disco, riescano in maniera sempre più incredibile a mischiare, stratificare e shakerare synth-pop, alternative rock, indie, rap e r’n’b. Non per nulla, tra le prime definizioni che i due ragazzi dell’Ohio hanno dato della propria musica ci sono: schizophrenic-pop, screamo syth-pop, spoken word emo rap, ukulele hip-hop, alternative, slam poetry ed electro-rap.

Si potrebbe parlare di come Twenty One Pilots voglia dire due amici - Tyler Joseph e Josh Dun - e di come, oltre al timido, energico e atletico Josh, Tyler sia l’altrettanto timido ma ansioso, dolce e folle progettista dietro a questo duo, che con Trench ha sia scritto tutte le canzoni, sia prodotto l’album.

Una produzione, quella di Trench, di altissimo livello su vari fronti: la pulizia, la stratificazione precisa e maniacale di strumenti, elettronica, voci e atmosfere e l’originale sintesi che prende ad ispirazione molteplici riferimenti creando un risultato completamente personale.

Si potrebbe, per una volta, fare un discorso personale, raccontando di come abbiano sempre avuto un posto nel mio cuore, riuscendo a leggere nel profondo di un pezzo della mia anima. Di quanto anni fa fosse stata la fatica nel trovare quel primo disco, di quella band che nessuno conosceva, che in Italia non c’era verso di scovare. E di quanto fosse stato speciale quel primo concerto in cui sola sapevo tutte le canzoni, dinnanzi ad un pubblico allibito dalla loro performance. E di quanta strada abbiano fatto da allora, con i fan e nelle loro produzioni.

La crescita dei Twenty One Pilots, di album in album, è stata quasi esponenziale. Ogni nuovo lavoro, non appena viene dato alle stampe, suona come qualcosa di nuovo, sincretico, innovativo, imprevedibile, elegante e originale, capace ogni volta di fare un passo oltre ciò che normalmente si sente alla radio. Qualcosa di strutturalmente imprevedibile nella sua stessa forma di composizione, che può essere ricondotto a qualcosa di conosciuto al massimo entro limitati passaggi. Una formula che, nel suo complesso, è sempre anti-commerciale, creando combinazioni che parlano principalmente ai gusti e alle esigenze di Tyler: dai testi che affrontano le sue ansie e la sua depressione (vedi Blurryface), alla ricostruzione di un mondo in cui i suoi combattenti lottano in trincea contraddistinti dal colore giallo (Trench), alla sintesi di generi e ispirazioni differenti che non partono mai dalla volontà di accontentare un pubblico, ma dall’ambizione di creare qualcosa che risponda alle sue necessità di comunicazione, al suo senso artistico, alla sua voglia di sperimentare e alla sua sincerità emotiva ed emozionale.

Si potrebbe anche parlare di cosa sia Trench attraverso le 14 canzoni che compongono i suoi 56 minuti, ma ci si renderebbe subito conto di quanto questo sia molto semplice e molto complesso allo stesso tempo.

Perché parlare solo di alcuni dei bellissimi singoli come “Jumpsuit”, “My Blood” o “Nico and the Niners”, o di alcune delle piccole perle nascoste tra i pezzi non usciti in accompagnamento ai video, non renderebbe giustizia a cosa sia in realtà Trench. Un album in cui la somma delle tracce (comunque valide di per se stesse) regala un risultato superiore, perché preso nel suo complesso porta ad un livello successivo.

A poche canzoni dall’inizio è già chiaro: quello che si sta ascoltando non è nemmeno più un disco. È il dipinto di un paesaggio di un mondo alieno, che galleggia dinnanzi agli occhi chiusi di chi ascolta, beffandosi del fatto che non è che la proiezione di una coscienza. È la possibilità di partecipare ad un viaggio in cui, chi vi entra cieco, d’improvviso vede la vastità e i colori di una mente multiforme e mai banale, fatta di picchi, valli, colori, suoni e silenzi. Una sintesi di sperimentazioni e prospettive, di pensieri, visioni, stili e musiche, affrontate e proposte con una leggerezza e una profondità di rara fattura.

È l’occasione di cogliere i profumi e l’iridescenza di un fiore inconsueto. Elegante nella lievità e delicato nell’immersione negli antri più bui. È l’occasione di cogliere una capacità di ascolto e ricomposizione che prende dagli stimoli più vari per ricostruire in maniera nuova, interiorizzando e regalando di nuovo all’esterno ciò che ha avuto modo affrontare con un processo interiore.

È l’attitudine naturale al non fare mai ciò che gli altri si aspettano o vorrebbero, perché si tende a guardare inevitabilmente non solo in avanti, ma in alto. È la capacità di portare le cose su un altro piano e a offrirle di nuovo in dono al mondo, con timidezza, per proporre qualcosa che si può concepire solamente in un dialogo da animo ad animo.

Questo è Trench, e questi sono i Twenty One Pilots. Abbiatene cura.