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REVIEWSLE RECENSIONI
02/12/2019
Siberia
Tutti amiamo senza fine
C’è una tentazione nella quale si potrebbe correre il rischio di cadere parlando del nuovo disco dei Siberia: quella di pensare cioè che l’oggettiva “svolta Pop”, riconosciuta anche dal gruppo stesso, seppure non esattamente con questa espressione, derivi dal sodalizio con la Sugar, di cui questo lavoro rappresenta il primo frutto.

La verità è che loro quest’anima più piana, più “mainstream”, diciamo così, ce l’hanno sempre avuta. Me lo ricordavano qualche giorno fa durante un’intervista, che a Livorno li hanno sempre visti come dei “poppettoni”, nonostante suonassero una musica che guardava da tutt’altra parte, e che la loro prima uscita pubblica come band è stata la partecipazione a Sanremo Giovani, arrivata ancora prima del disco di debutto.

Quindi, di che cosa stiamo parlando? Che poi, sarebbe anche interessante precisare che il problema non è quello di contrapporre il Pop alla New Wave, quanto la brutta musica a quella bella. E da questo punto di vista, chiariamolo subito, “Tutti amiamo senza fine” è un bellissimo disco.

Certo, gusti e sensibilità personali mi impediscono di considerarlo superiore al precedente “Si vuole scappare”, che aveva un’urgenza diversa e tre o quattro brani decisamente fulminanti. Questo è un lavoro più fruibile ma allo stesso tempo più meditativo, diretto ma anche più discreto, meno urlato e meno spavaldo (in senso positivo) di quanto poteva esserlo il suo predecessore.

Nasce da un bisogno, e cioè dal volere a tutti costi strapparsi di dosso la nomea di band derivativa, di epigoni del Post Punk, di figliocci dei Joy Division. Tanto che mi viene pure il sospetto che lo smarcarsi che hanno sempre fatto dal monicker Siberia, negandogli ogni benché minimo collegamento con l’omonimo disco dei Diaframma, avesse questo preciso scopo: non sto dicendo che hanno mentito, ma che le loro risposte a certe domande nascevano anche dal volersi smarcare da riferimenti e paragoni che chi scrive di musica utilizza forse con eccessiva disinvoltura.

E poi c’è il capolavoro escogitato con il primo singolo: prendere un titolo come “Ian Curtis” e metterci sopra una canzone allegra, con ritmiche acustiche e ritornello irresistibile, è un’operazione solo apparentemente contraddittoria, che può essere criticata solo dalle menti più chiuse (“Con un titolo del genere mi sarei aspettato un brano molto più duro…” è il primo commento in assoluto che ho letto su Facebook all’indomani dell’uscita) e che serve in realtà ad un duplice scopo: raccontare le difficoltà dell’adolescenza, col bisogno di trovare qualcuno in cui identificarsi, lo scoprire che non si è da soli nel proprio disagio esistenziale, e allo stesso tempo rendere umano un artista appiattito troppo spesso sul suo livello di icona, staccandosi così dal calderone di “quelli che in Italia rifanno la New Wave”.

Obiettivo raggiunto? Direi pienamente. “Tutti amiamo senza fine” suona esattamente come un disco dei Siberia, confermando la forte personalità dei suoi due songwriter principali, il cantante Eugenio Sournia e il bassista Cristiano Sbolci Tortoli; si avvale nuovamente della produzione di Federico Nardelli, che però svolge un lavoro nettamente migliore, dando voce all’amalgama di tutta la band (i quattro sono soprattutto un gruppo di amici e la cosa si sente) e tirando fuori un suono avvolgente e rotondo, dove le tastiere pesano più delle chitarre (che tra parentesi, spesso sono acustiche, a rafforzare la ritmica), dove le cavalcate epiche a la Editors/Interpol hanno lasciato il posto ad un andamento sempre sostenuto ma più costruito attorno alle melodie vocali. Melodie che, occorre dirlo, il gruppo ha sempre saputo scrivere e anche questa volta non si smentisce. In particolare poi, la prova di Eugenio è davvero maiuscola, la sua voce è espressiva come mai prima d’ora, utilizza a tratti registri e sfumature inedite e nel complesso è maggiormente fusa col resto degli strumenti.

Per il resto, si tratta di un’ennesima, grande collezione di brani, che presentano tra loro anche una certa eterogeneità: si va dagli episodi più “baustelliani”, naturale raccordo col mood generale di “Si vuole scappare” (“My Love”, “Piangere”, “Mademoiselle”) a quelli maggiormente virati verso un Pop radiofonico, sempre di alta qualità e mai troppo leggero (“Mon Amour”, “La canzone dell’estate”, “Carnevale”, “Peccato”); in mezzo, due canzoni ben costruite ma un po’ troppo sdolcinate (“Sciogliti” e il secondo singolo “Non riesco a respirare”) che sono per quanto mi riguarda le uniche due sottotono dell’intero lavoro; ad aprire, una title track che funge da introduzione alla tematica del disco, l’amore in tutte le sue declinazioni e sfumature, e che parla il linguaggio del cantautorato classico, da De André a Tenco (quest’ultimo, da sempre dichiarata fonte d’ispirazione per Eugenio).

A proposito dei temi, è interessante anche rilevare come ci sia stata un’asciugatura generale a livello di testi, che vivono di una maggiore immediatezza e di una minore complessità d’insieme, con una scrematura soprattutto sul carico di erudizione. “Volevo scrivere qualcosa che potesse essere capito da tutti” mi ha detto Eugenio in proposito e bisogna dire che ci è riuscito. Dall’alto della mia spocchia intellettuale, devo confessare che lo preferivo prima; dall’altra parte però, occorre ammettere che ha saputo mantenere un livello maturo e interessante nell’affrontare certi argomenti. Insomma, semplificazione sì, banalizzazione no. E da tutto questo possiamo evincere che questa conclamata “svolta Pop”, se c’è stata, non ha affatto coinciso con la trasformazione dei Siberia nei nuovi Thegiornalisti. Sono rimasti loro, semplicemente aggiornando il proprio linguaggio in modo tale da essere il più universali possibile.

“Tutti amiamo senza fine” rimane comunque un disco adulto e come tale, questo potrebbe tarpargli le ali, sulla lunga distanza, considerando che i nuovi artisti sono ascoltati soprattutto dalle giovani generazioni e che la Maciste Dischi, la loro etichetta, guarda decisamente da quella parte lì. Resta però l’ennesima conferma di una grande band, una delle migliori venuta fuori di recente dal nostro paese.


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