Ormai s’è capito che
Non esistono gli Extraterrestri
Che ci vengono a salvare
Ormai La mia unica speranza
È nell’Intelligenza Artificiale
Tutto sarà più logico
Tutto sarà normale
Senza l’imprevedibile
Intervento naturale
Tutti interconnessi a livello molecolare
Nanobiologie nel tessuto celebrale
Potremo volare
Con gli occhi dell’aquile e capire
Il canto delle balene
Onde Gravitazionali e L’Anima degli animali
Saper di Matematica e Fare salti eccezionali
Sentire quello che sentono
Tutti gli altri esseri umani
Non aver nemici
E non sentirsi mai più strani
Entreremo in connessione
Con l’Universo e il senso Dell’Amore
(“Futuro”, Finardi/Giuvazza Maggiore, 2025)
In principio, Eugenio Finardi è stato portatore di una voce con un suono nuovo, diverso, figlio di almeno due culture molto diverse. Tra Europa e America si stagliava colui che seguiva le tracce iniziate da artisti liberi come Demetrio Stratos, ma che poi decise di incastonarla in una musica che univa il cantautorato di protesta a mondi come il soul e il rock.
Dopo alcuni lavori di grandissimo spessore artistico e letterario, usciti negli anni settanta, Eugenio ha un po' faticato nel trasformare la sua musica in qualcosa che andasse al passo con i tempi che cambiavano, ma riuscisse anche a rappresentarlo al cento per cento. Gli anni ottanta non sono stati semplici ma hanno prodotto altri dischi ricchi di sensibilità, dove la voce si metteva al servizio di liriche mai banali e di un comparto sonoro di livello internazionale.
Finardi è sempre stato curioso di provare e sperimentare e con il passare degli anni ha immerso la sua arte in mondi lontani e diversi, ma sempre con grande umiltà e dedizione; dal fado al blues, fino alla musica orchestrale, mentre la sua voce diventava sempre più matura, pastosa, ma anche in qualche modo più debole e piegata alle inevitabili leggi del tempo che passa e non può tornare più.
Nel suo mondo a sette note, non esistono trucchi e finzioni, e la voce di Eugenio Finardi nel 2025 è quella di un artista di più di settant’anni, che si guarda indietro con un piede e con l’altro si proietta verso il futuro.
Ci leghiamo subito al brano di apertura del disco, che ci ricollega ad un classico immortale del cantautore e prosegue quella narrazione in una modalità sorprendente e quasi spiazzante. Il ritmo è alienante ed elettronico e la voce sussurra e si mostra più flebile ma sempre ispirata, fino ad arrivare ad un riff emblematico e singolare della chitarra del musicista e produttore Giovanni “Giuvazza” Maggiore, che cofirma tutti i brani dell’album, insieme a Finardi.
Il viaggio è sia a ritroso che in avanti, perché sono tante le autocitazioni della discografia storica di Eugenio, insieme a ricordi testuali che riportano ad altri artisti come Fabrizio De André, il tutto confezionato in un involucro sfuggente e totalmente moderno, tra loop e batterie programmate, effetti sonori stranianti, jazz contaminato, trip hop e il contributo sia della giovane vocalità di Pixel (la figlia Francesca), che del basso immenso e caldo del collaboratore storico Paolo Costa.
Per Tutto si intende questo miscuglio di testi politicizzati e impegnati, come in “Pentitevi”, ma anche la leggerezza anni ottanta di “I Venti Della Luna”, oppure il lirismo delicato di “Francesca Sogna”. Ogni passo è inaspettato e spesso sfocia in una sperimentazione molto densa e che va ascoltata più volte per essere compresa e assimilata.
Finardi non fa sconti e si dà al cento per cento, per quella che suona dannatamente come un addio discografico che non può essere valutato in poche righe oppure ascoltato per qualche giorno. Il suo ultimo capolavoro gronda di autenticità da tutti i suoi pori, e tanto basta per diventare uno dei pezzi musicali indimenticabili, di un 2025 che si sforza di partorire solo note usa e getta.
Ma, se si va a cercare più in profondità, troverete la verità. Non accontentatevi, mai.