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REVIEWSLE RECENSIONI
20/09/2019
Ezra Furman
Twelve Nudes
Gli undici brani di Twelve Nudes, sorretti da chitarre sferraglianti e batterie uptempo, sono glamourosamente splendidi, caotici e velenosi.

«Questo è il mio disco punk,» dice lui, Ezra Furman, annunciando Twelve Nudes. Solo che di punk qui ci sono giusto i formalismi, la maniera, l’involucro. La durata (28 minuti). D’altro canto, forme e maniere del punk si sono cristallizzate già sul finire del ’77 e se qualcosa abbiamo capito è che la musica (punk o non punk) del nuovo millennio non è tanto un riciclo quanto una didascalia stilizzata dei generi che si sono succeduti nei passati decenni. Oggi suonare “punk” - o “indie” o “post-punk” o “metal” (mettete voi il genere che preferite) – significa, nella stragrande maggioranza dei casi, copiaincollarne gli stilemi superficiali a mo’ di etichetta da apporre sul prodotto finito, che naturalmente finirà negli appositi scaffali, suddivisi e catalogati con psicopatica perfezione come al supermercato, degli stores online. Gli ultimi, eroici negozi di dischi manco si prendono più la briga di classificare cd e vinili: basta l’ordine alfabetico per i matusa che ancora acquistano il supporto fisico, che tanto i millenials se gli parli di “generi” e “stili” guardano in alto e ti rispondono: ‘n che senso?

Eppure il ragazzo di Chicago si è costruito, passo dopo passo, una street credibility, assai poco ortodossa ma difficilmente contestabile, pur provenendo da una comunità - quella ebraica - nel cui DNA, più che la rabbia proletaria, risiede una splendente spiritualità millenaria. Ed è proprio questa spiritualità, pura, intatta, che Furman riesce a preservare tanto nel suo essere artista quanto, incredibilmente, nella sua problematica condizione di incertezza nei confronti della propria identità. Anzi, paradossalmente egli trova la forza e la motivazione per affrontare i tormenti, le inquietudini, le paure e la rabbia proprio nella tradizione spirituale dell’ebraismo.

Nella mia entusiastica recensione di Transangelic Exodus pubblicata l’anno scorso su queste pagine, scrissi – davvero; è un’idea, non un sacrilegio - che per quanto mi riguarda quel disco «sta a Ezra Furman come Born To Run sta a Bruce Springsteen», affermazione che a distanza di 18 mesi non mi rimangio affatto, tuttavia, in merito alla dichiarazione posta in incipit, va detto che Furman non sarebbe in grado di realizzare un disco punk credibile nemmeno con i primissimi Replacements come backing band (no, non li ho nominati a caso); il che non rappresenta necessariamente un difetto, dal momento che gli undici brani di Twelve Nudes, sorretti da chitarre sferraglianti e batterie uptempo, sono glamourosamente splendidi, caotici e velenosi; il ragazzo/a, inoltre, è in splendida forma, forse anche troppo: strepita con vocalità selvaggia, sguaiata, talora isterica, sempre sul punto di infrangersi in un milione di piccoli pezzi (sì, è una citazione), ma senza mai perdere la direzione, il controllo, il senso del brano e di ciò che sta cantando/reclamando, vale a dire il proprio diritto ad avere un posto nel mondo.

Benché la produzione di John Congleton tenda a saturare e a comprimere un po’ troppo il sound, le canzoni si susseguono frenetiche ma fluide, grazie anche a un paio di pause di riflessione, la prima delle quali, “Transition From Nowhere To Nowhere”, Bowie l’avrebbe cantata magnificamente, facendola sicuramente propria, così come Furman fa propri taluni stilemi bowiani, mentre la seconda, “I Wanna Be Your Girlfriend”, è forse l’apice – straniante e quasi fuori contesto - del disco e una delle sue canzoni più belle di sempre, con quei versi dolentemente ironici posti a chiusura: “Honey, I know that I don't have the body you want in a girlfriend / What I am working with is less than ideal / But maybe…”.

Se le “guide spirituali” dichiarate dell’opera sono il musicista Jay Reatard, omaggiato nella baldanzosa e accattivante “Thermometer”, e la scrittrice canadese Anne Carson, ispirazione per il titolo dell’album (“nudes”, nella filosofia della Carson, sono meditazioni/visioni per affrontare il dolore della vita) assieme, come accennavo più sopra, alle radici ebraiche (“A premonition that Jerusalem will fall again tonight” canta in “Rated R Crusaders”), il brodo di coltura va ricercato nel suono crudo e nel feticismo rock di Raw Power di Iggy And The Stooges più che nel “punk” in senso stretto.

Ma c’è un’altra affinità, a mio vedere, che in questo disco emerge distintamente laddove in Transangelic Exodus era appena percepibile, ed è quella con Morrissey. Per quanto tale affinità appaia più cromatica che di sostanza, in qualche modo, Ezra Furman sembra essere il miglior candidato a diventare il “Morrissey del nuovo millenio” o qualcosa di simile: è audace, è sfrontato, è colto, è pop (in tutte le accezioni), è glamour e gli basta ancora un nonnulla per diventare iconico.

Se Morrissey è (o è stato) la popstar definitiva, Furman può diventare la post-popstar definitiva. Provate ad ascoltare uno di seguito all’altro Twelve Nudes e Your Arsenal, giusto per sentire che effetto fa…


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