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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
18/11/2019
“ALONE” 1
Un primo passo di luce - Intervista a Mirco Salvadori
“Spinto dall'onda di suono che mi giungeva, ho cercato un sentiero per tornare indietro nel tempo, direttamente a contatto con la visione e quella briciola di arcaico che ancora riusciamo a scorgere dentro noi”. (M. Salvadori)

Probabilmente svelare i passaggi di un dipinto, le trame nascoste di un racconto o le intenzioni riflesse di una composizione è come levare al processo di crescita l’opportunità di sbagliare, di puntare lo sguardo su ombre che solo grazie all’oscurità vantano profili di ben altre ragioni. Ma dobbiamo capirlo… da soli. E se Loudd contiene in sé anime che ho bene codificato, penso che sposino a pieno questo mio viaggio e questo modo di starci dentro, senza riferimenti d’ufficio, senza etichette e coordinate per rendervi comoda la vita. Se vi aspettate che di “Alone” inizi a parlane come un album senza fine di Gianni Maroccolo, che si fa corona e complice dei racconti di Mirco Salvadori, delle opere di Marco Cazzato e del coraggio discografico di Alessandro Nannucci - se vi aspettate questo allora siete nel posto sbagliato. Opere come queste vanno inseguite, cercate, comprese, lette tra le righe… ed ognuno, in solitudine, impari a far di conto con i limiti che il santo tutto e subito dei social sta pontificando nel nostro DNA, costruendo tutte le stupidità possibili.

Così mi avventurerò per ogni appuntamento, spero, credo… ci provo… un album ogni 6 mesi. I primi due capitoli sono stati già pubblicati, arriverà questo dicembre il terzo… e via così a catena, niente di montato a priori e niente che sia calcolato con la matematica dei consumi.

“Alone vol.1”: ecco perché siamo qui con Mirco Salvadori, scrittore, critico di musiche altre dove per altre intendo le derive di avanguardie che oggi, purtroppo, significano anche troppo spesso omologati frattali prefabbricati di elettronica computerizzati. E lui penso lo sappia bene. Mirco Salvadori lo sa bene cosa significa l’avanguardia, quella vera… e trovo che in questo disco sia di casa, sia in equilibrio instabile come merita in questo never ending album… beh posso parlare almeno di questi due volumi che ho tra le mani e nelle orecchie da giorni.

“Alone vol.1”: un bue muschiato, non un bisonte come l’avevo immaginato io. Lo ha chiamato altrove Mirco Salvadori, me lo immagino possente questo bue muschiato, un gigante buono mi verrebbe da dire. Ognuno di noi, che in noi ci sentiamo giganti ma che in un attimo, al confronto con le tante direzioni possibili, ci ritroviamo insignificanti, perduti. Mirco Salvadori, in questo racconto ha lasciato che le parole fossero visioni in movimento. Proprio come il suono. Proprio come le opere pittoriche di Mario Cazzato. Proprio come il disco che si muove nel tempo e che nel tempo non vuole avere fine.

“Alone vol.1”: è questa rincorsa che parte dalla maturazione di un sé, parte dalla presa di coscienza di quella fragilità che abbiamo dentro, di quella faglia tettonica che non trova più appiglio premendo sui lati e così smuove e scassa la terra che hai intorno… come fanno gli zoccoli pesanti durante la corsa… e il punto di arrivo non è dato saperlo ma potremmo solo supporlo quando sarà arrivata quella radura di luce e di pace. E noi stessi saremo in pace… forse…

“Alone vol.1”: è il viaggio interiore di chi cerca una propria liberazione dalla notte che ha di dentro. E così ci vedo la Tundra che ha i ritmi tribali, che è la preparazione al divenire nervoso, che è la puzza acida della tempesta che arriva; così come ha senso percepire le sospensioni nebulose che introducono i rituali antichi di Sincaro e tutta quella sua apertura che è definizione e arrivo e nuovo mondo. E il resto lo dovete scoprire da voi. Il suono di questo primo capitolo di “Alone” è suono di ritualità, suono che annienta certezze, suono che sottende quella pace che, una volta raggiunta, è già pronta ad autodistruggersi.

“Alone vol.1”: è una delle cose più importanti che abbia tenuto dentro, senza saperlo. Mi giro attorno e cerco di capire se la luce che vedo è solo riflesso di qualche macchia o è la luna piena che arriva dal cielo.

Ora prendete tutto questo ammasso lisergico di descrizioni e fatene suono, almeno nella vostra testa. Chissà che vi riconosca passando per strada… chissà che ognuno di noi che ci siamo avventurati in questi pensieri non abbia dentro qualcosa che somigli davvero al magico suono di “Alone”.

Vorrei subito levarmi una domanda da ufficio. Narrazioni, suoni e visioni. Una catena che darà luogo ad eventi non terminabili a priori. Ma qual è stato l’ordine, la genesi? Chi è la causa di cosa? In altre parole: i suoni sono venuti prima delle narrazioni…? O di quale altro tipo di genesi dobbiamo parlare?

Prima di iniziare con le risposte, vorrei ringraziarti per il 'gesto anomalo' e ovviamente apprezzato. È la prima volta che mi capita di ricevere un invito per un'intervista riguardante un progetto che indubbiamente basa sul suono il suo aspetto principale. Sono ben pochi gli addetti ai lavori o i blogger che si sono interessati non solamente al contenuto musicale del progetto “Alone”, ma anche agli altri due apporti artistici, la mia scrittura e l'immagine curata da Marco Cazzato, comunque fondamentali per comprendere in pieno questo splendido sogno senza tempo di Gianni.

Per venire alla tua domanda; i suoni creati da Marok sono alla base di ogni evoluzione del progetto, su questo non ci piove. Esiste però una sorta di interazione non detta tra queste tre componenti del progetto: suono, immagine e scrittura formano una sorta di unica narrazione che risulta non scindibile. Le tre componenti si fondono creando un unico che, per esser compreso in pieno, andrebbe letto sotto questa costante. Ciò che fin dal primo volume mi ha sorpreso è l'incredibile assonanza nel montaggio, quasi lo si fosse deciso a tavolino quando, nella realtà, tutti noi lavoriamo a distanza ed esclusivamente sulle suggestioni create dall'altro.

La genesi a cui ti riferisci non è altro che questa, condivisione del proprio lavoro, confronto e pubblicazione avendo ben presente che tutto parte dal suono e poi evolve.

Ogni cosa ha una coerenza con il tutto davvero impressionante. Non sembrano contributi di artisti diversi. Avete cercato in qualche modo un linguaggio comune o siete stati liberi di esprimervi, ognuno come voleva e solo in seguito vi siete resi conto di quanta coesione ci fosse?

Come spiegato, tutto è avvenuto senza che noi lo avessimo programmato, pura sintonia. Forse agire per decenni dentro i confini del panorama indipendente, senza filtri o concessioni al mainstream, accentua la propensione all'immaginazione, alla magia ;)

“Altrove”. Le visioni che ho avuto, forse anche condizionato dalla narrazione, sono state visioni di fuga, di caos iniziale, di ricerca… poi la pace. Pensando ad “Altrove”, come viene chiamato, penso ad un non luogo dove rifugiarsi, in cui il vero senso delle cose resta inalterato. Insomma, penso ad una forma di salvezza di tipo spirituale ed intellettuale per ognuno di noi. Sono tanto fuori pista?

Nella narrazione di Altrove, intesa come racconto corale che si rispecchia anche nel mio scritto, puoi trovare un numero considerevole di suggestioni. La principale riguarda il bisogno della fuga per raggiungere i propri solitari luoghi dell'animo, una storia di crescita personale, di affrancamento dall'altro inteso come fraterna presenza che tutto sommato rincuora e protegge ma non aiuta a crescere definitivamente, a maturare. Quindi via, al galoppo diretti dentro la tempesta della solitudine per rinascere rigenerati, così… come fanno i larici in autunno, direbbe qualcuno. Il concetto di rifugio può essere un altro elemento che contraddistingue il raccontare, rifugio inteso come non luogo nel quale ritrovare e ritrovarsi con i propri simili, creature che hanno vissuto le tue stesse esperienze e che conoscono bene il significato del termine confronto, scambio, conoscenza, amicizia.

Restando su questo tema, su questo concetto che leggo nell'altrove e anche su come i suoni riescono a farmelo vedere, trovo che “Alone” sia un disco molto sociale nel vero senso del termine. Un disco che parla alla quotidianità non solo nell’estetica avanguardista (a suo modo avanguardista) ma anche nell’esperienza sensoriale che ne viene fuori. Non trovi?

Tutto il progetto “Alone” è teso al sociale, cerca di scavare nelle problematiche che quotidianamente ci legano al reale. Cerca di sensibilizzare o quantomeno far pensare. Questa è la volontà di Gianni a cui noi ben volentieri ci siamo uniti. Dischi creati per restare, farsi ascoltare e soprattutto per trasmettere segnali di intimo sentimento umano lì dove il deserto sta avanzando. Il primo “Alone” è un disco che parla di morte e della successiva rinascita, il secondo si sofferma sul sacrificio e la sofferenza mentre del terzo volume ancora non posso dir nulla visto che ora è in lavorazione. Sarà comunque una gran botta, l'ennesima.

Suoni. Nelle trame sonore rilevo ampi spazi di sentieri percussivi, ricami tribali per molta parte del disco, con queste voci corali che quasi richiamano alla mente un mantra o anche delle ritualità, dei sacrifici… un certo modo di esperire un concetto altro di religione e spiritualità, sempre secondo il mio ascolto… ma nella realtà della produzione, tutto questo, quanto è realmente presente, voluto, ricercato?

Oddio, questa è una domanda che dovresti rivolgere al Marok, da par mio posso solo dirti che ho cercato di scavare fino alle radici, ho cercato il contatto ormai dimenticato con la natura e le divinità che la regolano. Spinto dall'onda di suono che mi giungeva, ho cercato un sentiero per tornare indietro nel tempo, direttamente a contatto con la visione e quella briciola di arcaico che ancora riusciamo a scorgere dentro noi. Che poi ci sia riuscito o meno beh, questa è un'altra storia.

Perché l’immagine di un bisonte? Icona che meglio si contrappone alla pace del silenzio di quell’Altrove? Come a dire che in ogni male esiste la pace? O cos’altro…?

Permettimi di correggerti, non è un bisonte ma un bue muschiato. Questa è un'altra domanda che dovresti rivolgere a Marco Cazzato, il disegnatore e non al sottoscritto. Posso solo dirti che Altrove -  scusami ma ormai io lo chiamo così - mi ha letteralmente affascinato e coinvolto fin dal primo istante. Il suo andare solitario lungo le distese di neve, il suo immergersi nel silenzio, la pace che regnava nel suo sguardo mi hanno rapito. Non esiste contrapposizione tra le due cose, come tu supponi. Esiste il viaggio e la scoperta di nuove modalità di vita, esiste la consapevolezza di esser parte del tutto e che la morte, alla fin fine può essere un nuovo inizio.

E poi la notte… le ombre… una tundra… non penso siano oggetti dipinti a caso… il caos e la tempesta prima di una radura di pace… torniamo a parlare di simbologie sociali o sbaglio?

Più che sociali direi introspettive, intime, un privato che coinvolge chiunque decida di scrutarsi nell'intimo. Ciò che senti e non riesci a spiegarti, l'ansia che si crea quando ti soffermi a guardarti dentro, la ricerca di risposte, la calma nel ritrovarti finalmente in pace con te stesso. Questo è il viaggio che ognuno di noi compie attraverso la notte, la tempesta per raggiungere quella radura, sempre che ci riesca.

Trovo che ogni volta che si accostino temi quali l’introspezione, la fuga, la ricerca di un se, si accostino paesaggi a loro modo spettrali, boschi notturni e altro ancora… non sei d’accordo? E se sì, perché secondo te?

Stanno tentando di abituarci a pensar poco, a rimanere agganciati agli schermi dei cellulari e dei pc. Qualsiasi deviazione fatta per acquisire più informazioni su te stesso, viene vista come una mancanza di rispetto, un'immersione in paesaggi inospitali, lugubri, pericolosi. D'altra parte la cultura della penombra ce la portiamo appresso anche a causa della nostra lunga militanza nel mondo post-punk che ha lasciato un segno indelebile e difficilmente cancellabile. Ecco quindi apparire boscaglie illuminate dal chiarore lunare, spazi sconfinati avvolti nella tempesta, luoghi dell'anima che difficilmente riusciamo a illuminare con i raggi di un sole salvifico. La verità è che l'azzurro di un cielo terso a volte può contenere molte più risposte ma solo l'esperienza e la maturità ti permettono di scorgerle.

“Alone”: ora, non penso significhi prettamente solo, solitudine. Di sicuro questo non è un disco nato e prodotto in solitudine… che sia proprio un alone, una macchia a confondere la realtà che ci mostrano ogni giorno? E che quest'alone, questa macchia, sia invece la verità che non ci viene concessa?

“Alone” va letto nei due modi, quello della corretta traduzione dall'inglese e come vocabolo della lingua italiana. Due significati che non hanno apparentemente nulla in comune ma che stanno a significare l'inizio di un viaggio in solitaria, avvolto nell'alone della ricerca di sé stessi. Un discorso che riguarda direttamente Gianni e il suo percorso artistico ma a ben vedere riguarda tutti noi e il nostro percorso di vita.

A chiudere, promesso, un’ultima domanda da ufficio. Si parla di 5 dischi di cui il primo, il Volume 0 sarà una chicca per i fedelissimi. È così? Oppure saranno davvero pubblicazioni che ad ora non prevedono un termine? E questo Volume 0 come si potrà avere?

Il Volume Zero è già uscito ed esclusivamente per chi è in possesso dell'abbonamento al progetto. “Alone” è un viaggio che non ha fine, non ha scadenza né un numero definito di volumi pubblicati. Si ripromette di far uscire un disco con cadenza semestrale il 17 Dicembre e 17 Giugno di ogni anno. È un folle passionale sogno che solo un eccezionale artista come Gianni Maroccolo poteva ideare. Tra poco uscirà il terzo volume, preparatevi all'ennesima magia.


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