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Artista atipico (o forse essenzialmente autentico?), di quelli per cui la creazione viene prima di ogni altro aspetto, compresa la sua diffusione e tutte quelle annose questioni legate al successo commerciale. Curioso anche leggerlo nelle (poche) interviste rilasciate: qualche settimana fa a Rumore, ad esempio, ha ammesso candidamente di non leggere un libro da anni e di non conoscere sostanzialmente nulla di ciò che succede nel panorama musicale contemporaneo (a quanto pare l'ultimo gruppo da lui ascoltato sono stati i Radiohead). Un atteggiamento che potrebbe essere o incredibilmente snob o incredibilmente ingenuo, dipende da quale punto di vista decidete di considerarlo.
Eppure, al di là delle facili considerazioni, un artista andrebbe giudicato solo per la musica che produce e De Simone, da questo punto di vista, ne ha fatta e ne continua a fare di meravigliosa, per quanto centellinata.
Dopo Uomo donna è arrivato Immensità, una suite da poco meno di mezz'ora che ha spostato l'impronta sonora verso una dimensione maggiormente orchestrale e che ha coinciso con lo stop ai concerti dovuto non tanto alla pandemia allora imperante, quanto ad una decisione personale a lungo meditata. Artista atipico, ancora una volta: i concerti li ha sempre fatti ma ha anche sempre preferito fare altro, che fosse comporre nuove canzoni o lavorare a colonne sonore, negli ultimi tempi l'attività che forse lo ha occupato di più.
E così, senza troppi clamori, ha detto basta. Ci sono stati alcuni show selezionati nel 2021 (per Loudd ci eravamo occupati di quello, strepitoso, nella sua Torino, oltre che di un'apparizione al TOdays Festival nella stessa città) dopodiché la macchina si è fermata, al momento sembrerebbe per sempre.
In questi anni l'inattività è stata solo apparente perché, anche se è mancato un disco vero e proprio, sono arrivati alcuni singoli di successo, che hanno contribuito non poco all'esposizione mediatica della sua proposta, anche tra il pubblico più giovane, e la colonna sonora di Le Règne Animal, il film di Thomas Cailley che gli è valso un premio César per le migliori musiche originali. E ancora, un libro fotografico, allegato alla stampa in vinile di “Vivo”, uno dei singoli di cui sopra; non è quindi solo andato a letto presto, per citare la battuta celebre di un altrettanto celebre film.
Una lunghissima ombra è, finalmente, il disco che ancora mancava, il nuovo tassello (il quarto, se contiamo anche l'EP) indispensabile per comprendere a che punto siamo, nel cammino musicale di quello che è ormai a tutti gli effetti uno degli esponenti più importanti della nostra scena indipendente.
A livello di forma e struttura, non ci sono molte differenze rispetto ad Immensità: si tratta di una collezione di brani distinti, legati insieme attraverso interludi strumentali e temi musicali che sfociano l'uno nell'altro, a formare un unico flusso di melodie della durata di 67 minuti (sulla scia di dischi come Brave dei Marillion o, per rimanere in Italia, del fin troppo citato e saccheggiato Anima latina).
Progressive Rock nell'impostazione, il cantautorato italiano tra '60 e '70 nelle intenzioni di scrittura, l'album vive ancora una volta in una dimensione immutabile, con le melodie che scaturiscono già cristallizzate nel tempo, in un'eterna sensazione di deja vu che non inficia tuttavia le suggestioni evocate dall'ascolto. De Simone è così: riversa nelle partiture melodie di struggente bellezza, frutto di ascolti assimilati ed interiorizzati sin da bambino, inanellando una serie di canzoni che, per quanto sia evidente la dipendenza dai modelli, possiedono la stessa autorevolezza di capolavori ormai da tempo storicizzati.
È la componente orchestrale a prevalere, dicevamo, con la psichedelia e i chitarrismi di Uomo donna definitivamente alle spalle, e la volontà di proseguire sulla strada tracciata da un brano come “Vivo”.
Synth, flicorni, contrabbassi, violoncelli, trombe, sax e quant'altro contribuiscono così a questa architettura intensa ed elegante, dove una voce al contempo fragile e decisa racconta che cosa succede quando si dà spazio ai pensieri più nascosti che si annidano nel nostro inconscio e che formano un'ombra dalla quale è difficile liberarsi (“Io mi accorgo di essere diventato grande, vedo solo facce stanche e quando viene sera proietto una lunghissima ombra” canta all'inizio della title track).
Candidato a divenire uno dei dischi italiani più rilevanti degli ultimi anni. Peccato solo non poterlo ascoltare dal vivo...

