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Una riflessione
Bel Amì, Frederic Moreau, l’arrivismo e la morte
REFLECTIONS
all THE BOOKSTORE
13/10/2017
Bel Amì, Frederic Moreau, l’arrivismo e la morte
Una riflessione
A dimostrazione che né l’arte né la storia potranno mai, davvero, insegnarci qualcosa. Bel Amì è, in tal senso, un romanzo attraversato da un cinismo spietato

La prima cosa che salta all’occchio dopo aver letto l’ultima pagina di Bel Amì, è la stretta connessione del romanzo di Maupassant con L’educazione Sentimentale di Flaubert, capolavoro e fonte di ispirazione, che era stato pubblicato solo una trentina di anni prima (non è un caso che i due romanzieri si stimassero e fossero intimi amici). E’ del tutto evidente, infatti, la possibilità di sovrapporre, eticamente e sociologicamente, i due protagonisti, Georges Duroy e Frederic Moreau, uno la controfigura dell’altro, entrambi spregiudicati arrampicatori sociali, entrambi vestiti di una morale pret a porter. Tuttavia, il personaggio flaubertiano, pur nella sua inconsistenza etica, appare più irrisolto che malvagio, è talvolta attraversato da estemporanei sussulti di umanità, sebbene, poi, velocemente piegati alla logica del tornaconto, e da divampanti, quanto effimere, passioni (politiche, sentimentali, affettive), che si spengono, però, altrettanto rapidamente, come la paglia divorata dalla fiamma. A tratti, Moreau, sembra trovare lo scarto necessario per deragliare dai binari su cui corre spietatamente il proprio arrivismo, sembra avere una chance di diventare una persona migliore, appare, per brevi passaggi del romanzo, come capace di scuotersi di dosso quella ragnatela di mediocrità nella quale è invischiato. Sono solo attimi, però, che servono a rendere più complessa e contraddittoria la struttura psicologica del personaggio. Duroy, invece, non conosce la resipiscenza né il dubbio, e in tal senso è l’evoluzione in pejus di Moreau: tira dritto come un fuso, nessun tipo di remora può frenarlo (se non la paura), è determinato, ai limiti della malvagità, nel vestire i panni di killer sentimentale, che non prova alcuna pietà nei confronti delle sue vittime. Se è vero che entrambi vivono le relazioni amorose come mezzo per raggiungere una posizione sociale, Moreau, però, naviga a vista, incerto sulla scelta per lui più proficua, incapace com’è di avere una visione d’insieme, mediocre com’è nelle proprie ambizioni di successo. Georges Duroy, per converso, conosce benissimo la rotta da tenere, e sfrutta la propria capacità di seduzione (sempre replicata e monocorde nello scontato crescendo di affettazione cicisbea) per scalare, gradino dopo gradino, la piramide sociale, di cui, fin dalle prime pagine del romanzo, vede ben delineato il vertice. Greve nei sentimenti, mellifluo negli atteggiamenti, calcolatore, voltagabbana, arrogante con i deboli e prono al potere,  Duroy incarna alla perfezione la figura dell’arrivista senza scrupoli che, nonostante l’inconsistenza intellettuale, riesce ad affermarsi con l’inganno delle apparenze. Attuale e modernissimo, Maupassant, attraverso la sua straordinaria prosa, ci racconta il quadro politico e sociale della Parigi di fine ‘800 che, un brivido ci passa lungo la schiena, è lo specchio fedele di ciò che vediamo oggi intorno a noi: intrighi di potere, manovre speculative, politici arroganti e incompetenti, la stampa al soldo della politica, la macchina del fango come strumento per ridurre al silenzio l’avversario, la finanza che metabolizza e domina ogni rivolgimento politico e sociale. A dimostrazione che né l’arte né la storia potranno mai, davvero, insegnarci qualcosa. Bel Amì è, in tal senso, un romanzo attraversato da un cinismo spietato (l’unico personaggio positivo è Laurine, la bambina che per prima chiama Duroy Bel Amì, e che, forse, per prima, si accorge di che pasta è fatto l’uomo), realistico in ogni suo passaggio (anche le scene di sesso risultano – proporzionate alla  morale del tempo – estremamente ardite), e a cui sottende un’ossessione quasi morbosa per il tema della morte (si leggano, ad esempio, le venti pagine circa, fisicamente insostenibili anche per i cuori più ruvidi, che raccontano l’agonia dell’amico Forrestier,). Ed è probabilmente questo il secondo aspetto più rilevante del romanzo, quasi che Maupassant volesse sottolineare, in contrapposizione alla stolida vitalità del suo protagonista, la caducità dell’esistenza umana, e la tragedia dell’estremo trapasso, a cui nessuno può sottrarsi. La morte, dunque, che si sostituisce alla fallace giustizia umana, la morte come unica, possibile punizione alla malvagità di Duroy.