Secondo album postumo dopo il live Clean Your Clock dell’anno scorso, Under Cöver raccoglie undici brani altrui opportunamente motörheadizzati e in parte già pubblicati tra il 1992 e il 2015, ovvero tra le sessioni di March ör Die e Bad Magic (ultimo album in studio). Nulla o poco di nuovo, quindi, per i fan, se non la comodità di avere una manciata di cover in un unico dischetto. Il quale, va detto subito e a beneficio soprattutto di chi invece volesse avvicinarsi al mito di Lemmy, non è e non sarà in futuro annoverato tra gli album essenziali o fondamentali della band: meglio quindi orientarsi su altro (No Remorse, raccolta del 1984, ad esempio, potrebbe essere una buona iniziazione).
L’operazione potrebbe persino non essere meramente speculativa (non tutte le cover registrate dai Motörhead sono presenti), fatto sta che Under Cöver corre il serio rischio di perdersi in mezzo alla pletora di raccolte disponibili da decenni, e non mi sorprenderei se fra qualche mese lo si trovasse a 5 euro nei cesti delle offerte degli ipermercati o catene simili magari più specializzate (non fatemi fare nomi, non posso, e avete capito benissimo).
Se amate i Motörhead, troverete qui buone e grintose versioni di un paio di classici del punk settantasettino come “God Save The Queen” (Sex Pistols) e “Rockaway Beach” (Ramones), forse un po’ troppo pulite ma tutto sommato credibili, e classici del metal come “Breaking The Law” dei Judas Priest, posta in apertura e “Whisplash” dei Metallica che poco hanno da invidiare agli originali, una sudatissima “Shoot ‘Em Down” presa dal repertorio dei Twisted Sister (Lemmy era grande amico di Dee Snider e diede aiuto e supporto alla band newyorkese nei momenti più critici della loro carriera); “Starstruck” dei Rainbow è lì a ricordarci quanto sia incolmabile per il rock’n’roll la perdita di Lemmy: la bestia che lo stava divorando non gli permise di incidere la traccia vocale, affidata qui a Biff Byford dei Saxon (bravo, lo sapevamo già, ma…).
Sono queste le tracce più riuscite, laddove paiono invece abborracciate una “Jumpin’ Jack Flash” da cover band di sagra paesana e una “Sympathy For The Devil” che, spogliata di quelle subliminali intonazioni luciferine che solo Jagger è (era?) in grado di produrre, male non suona ma male non fa come dovrebbe.
Eppure in mezzo a questa bigiotteria (di lusso, beninteso), Lemmy piazza un diamante da 24 carati che di colpo ti fa ricordare perché ami la Musica e perché non puoi farne a meno: “Heroes” (sì, sì, proprio quella “Heroes” lì), cioè la cover di “Heroes”, cioè la più bella cover di “Heroes” mai fatta, a mia memoria. Acida, maestosa, toccante.
Lemmy is dead, long live Lemmy, eccetera.