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MAKING MOVIESAL CINEMA
Unsane
Steven Soderbergh
2018  (Pluto TV)
THRILLER
7/10
all MAKING MOVIES
15/09/2025
Steven Soderbergh
Unsane
Girando tutto con un iPhone 7 Plus, Steven Soderbergh riesce a costruire un bel thriller psicologico dai risvolti claustrofobici che indaga sulla psiche della protagonista ma anche su alcune delle storture del sistema assistenziale statunitense.

Steven Soderbergh non è nuovo alle sperimentazioni, ai cambi di registro né alla centralità dei ruoli femminili all’interno delle sue storie. In merito a quest’ultimo aspetto si pensi alla battagliera Erin Brockovich interpretata da Julia Roberts, giovane segretaria di uno studio legale che si batte contro il potere dell’azienda inquinante Pacific Gas and Electric Company, o alla tostissima Gina Carano nell’action Knockout.

Per questo Unsane, film del 2018, Soderbergh ci presenta una donna vittima di stalking (e quindi, purtroppo, anche dei nostri tempi), una donna la cui sanità mentale vacilla e i cui comportamenti inizieranno a provocarle parecchie noie.

Soderbergh ibrida quello che potrebbe essere un dramma moderno sulla difficile situazione che vivono tante donne, con il thriller psicologico e in parte con il film di denuncia, mettendo sotto accusa il sistema di sostegno sanitario e il relativo funzionamento legato alle coperture assicurative, prassi ormai obbligatoria negli U.S.A. se si vuole sperare in un minimo di cure in caso di malesseri fisici o mentali.

Per quanto riguarda la voglia di continuare a sperimentare con il mezzo “cinema” Soderbergh sembra essere uno di quei registi mai appagati, sempre curiosi di spingersi un po’ più in là e di provare qualcosa di nuovo. Unsane è infatti realizzato completamente usando un comune IPhone 7 Plus e mettendo a budget un costo complessivo di circa un milione e mezzo di dollari, per un ritorno che alla fine ha sorpassato i quattordici milioni di dollari, cifra che in virtù della spesa e delle ambizioni del film è un risultato di tutto rispetto.

 

Sawyer Valentini (Claire Foy) è una giovane donna che lavora per una grande compagnia in ambito finanziario. Sawyer non sembra del tutto serena sul posto di lavoro, nella relazione con la madre né nei rapporti con l’altro sesso, che si riducono a incontri fugaci e occasionali, magari mandati a monte dalle ossessioni della stessa Sawyer.

Il malessere della donna deriva dal fatto di essersi dovuta trasferire da un’altra città per sfuggire a uno stalker che la perseguitava. Scossa e turbata, Sawyer affronta momenti di crisi che la destabilizzano, proprio per questo motivo decide di chiedere aiuto a un centro medico specializzato nella speranza di ottenere sollievo per la sua delicata situazione mentale.

Dopo un rapido consulto con il personale della clinica, a Sawyer vengono fatti firmare alcuni moduli e le viene imposto un ricovero di 24 ore al quale lei non ha dato alcun consenso. Con quelle firme estorte e la copertura sanitaria attiva, la clinica si sente autorizzata a non rilasciare Sawyer, motivando la decisione con l’instabilità della donna, una tesi che sembra confermata quando Sawyer, spaventata, reagisce con veemenza al ricovero forzato.

Come ciliegina sulla torta, rassegnata a passare queste 24 ore in clinica (che diverranno molte di più), tra il personale infermieristico Sawyer sembra riconoscere David Strine (Joshua Leonard), lo stalker dal quale è fuggita nella sua città d’origine.

 

Soderbergh, che ancora una volta si dimostra regista intelligente, riesce a lavorare su forma, sostanza e genere in maniera davvero felice. L’esperimento del costruire un intero film affidandosi completamente ad un IPhone sembra riuscito in toto: i colori spinti, come fossero filtrati, del blu della foresta e della prevalenza gialla in ospedale contribuiscono, insieme alle inquadrature mobili e ai piani ravvicinati, a creare il giusto grado di tensione che va a giovare anche alla tenuta del genere, quel thriller psicologico che richiede una buona dosa di ambiguità e di incertezza che è qui ben presente, soprattutto nella prima parte di Unsane, e che torna a far capolino a più riprese sino al finale che, come da tradizione, instilla ancora l’ultimo dubbio nello spettatore.

Forma, genere (e quindi intrattenimento) ma anche contenuto, anzi contenuti, con un doppia possibilità di riflessione, la prima sul versante psicologico di una protagonista che sembra poco a poco cadere a pezzi a causa di uno dei grandi temi dei nostri giorni (la violenza sulle donne), la seconda su un sistema corrotto che costringe al ricovero pazienti che magari non ne avrebbero necessità, il tutto per  attingere alle coperture assicurative degli stessi massimizzando i profitti per la struttura ospitante. In fondo è pur sempre la cara vecchia America.

Resa in maniera egregia, grazie anche all’interpretazione di un’indovinata Claire Foy, la condizione instabile della protagonista che si porta sulle spalle un trauma che appare irreversibile, aggravato dalla mancanza di ascolto a cui la donna si trova di fronte, gli unici consigli che le vengono dati (il cameo di Matt Damon) sono quelli che prevedono la cancellazione di tutta la sua vita social e sociale.

Non tutto è perfetto (Strine, se è davvero lui, come ha fatto a farsi assumere in ospedale?), non tutto è chiarificato (alcuni dubbi restano, e questo è un bene), però visto il budget e i mezzi tecnici adoperati Soderbergh riesce a chiudere e portarsi a casa un altro buon film, vera dimostrazione che anche con poco le cose buone e valide si possono comunque costruire.