Di questi ragazzi avevamo già parlato recentemente in una presentazione del nuovo album Vertigo, che fungeva anche da recap per la storia di un terzetto che, per le sue qualità, è ancora troppo poco conosciuto e apprezzato. Sarà che sono italiani ma non suonano in salsa mediterranea, proponendo invece un sound veracemente hard rock, dove gli anni Settanta e Ottanta si incontrano, grazie a tanti piacevolissimi riferimenti britannici e americani, con qualche piccola aggiunta di immediatezza power pop/punk.
Fuori i nomi dunque: Bon Jovi, Green Day, D-A-D, The Darkness e potremmo continuare a oscillare tra decenni diversi senza il timore di sbagliare. Ma i Sandness hanno forgiato la loro identità precisa e che in questo quinto lavoro in studio viene ulteriormente approfondita. Il chitarrista Robby si è trasferito in Germania ma la volontà di proseguire l’avventura della band è stata più forte di tutto, spingendo però il gruppo a modificare tante piccole cose, e maturare velocemente.
In questo disco i Sandness decidono dunque di cambiare tutto: lo studio di registrazione, il produttore, il disegnatore per la copertina e pure il modo di comporre i brani. Un salto nel vuoto ma con una rete ben salda sotto, perché il risultato finale non è uno stravolgimento insensato di una formula riuscita, bensì un arricchimento che trasforma questi dieci nuovi pezzi in qualcosa di diverso, più profondo ma sempre divertente e scanzonato, ma mai banale o vuoto.
Fin dalla copertina, Vertigo possiede un’aura più oscura e notturna, ma non dimentica quel sano spirito rock’n roll che bagna tutte le dieci tracce, brevi, intense e da vivere con un volume molto, molto alto. La ricetta vincente sembra semplice, ma non lo è, perché la forza del disco è quella di spingere al riascolto in loop e di non stancare l’ascoltatore, anche se non inventa nulla, ma lo fa con gusto e sapienza.
Tante lodi anche alla produzione del guru Alessandro Del Vecchio, che asciuga il suono e lo rende comunque fresco, ricco e sfaccettato, riuscendo anche a piazzare un paio di svisate di hammond belle ruggenti, ma soprattutto a dare un impatto pieno e soddisfacente alla sezione ritmica, insieme a una cura maniacale nella gestione dei cori e completando il tutto con sfiziosi riff di chitarra, che ci portano nel meglio degli anni settanta.
Nulla di nostalgico però, perché i Sandness del 2025 suonano attuali, moderni ma anche vintage, senza però quella fastidiosa patina di polvere, che qui non è presente. In sostanza, un album compatto, omogeneo e non ripetitivo, che si pregia di scintillare e ammiccare per trentaquattro minuti di musica sontuosa. E schiaccia di nuovo il tasto “play, grazie!