Günter Grass è tra i miei scrittori preferiti. Tra i miei 10 scrittori preferiti. Ora, mi rendo conto che la cosa è del tutto priva di interesse per voi che state leggendo questa recensione ma, d’altra parte, se state leggendo questa recensione, vi devo un minimo di spiegazione sul perché, nel parlare di un Nobel della letteratura, ex membro del corpo ausiliario della Wehrmacht, intellettuale impegnato, minatore, politico, saggista, musicista, grafico, scultore, drammaturgo... invece di citare quello che viene considerato il suo capolavoro, Il Tamburo di Latta, e la famosa “Trilogia di Danzica”, scelga di parlare di Viaggio elettorale, un libro che non è un romanzo. E la spiegazione è appunto questa: Günter Grass è tra i miei scrittori preferiti, pertanto sono di parte e probabilmente troverei opportuno magnificare anche la lista della spesa vergata dalla sua penna, ammesso che avessi la possibilità di leggerla.
Fatta questa puntualizzazione, devo anche dire che a indirizzarmi verso la scelta di questo libro non è solo la mia passione per Grass ma anche la sua prepotente attualità. Infatti, Viaggio elettorale, come ho detto, non è un romanzo: è una raccolta di discorsi e articoli che lo scrittore, militante del Partito socialdemocratico tedesco e sostenitore di Willy Brandt, tenne nel 1965, nel corso di un viaggio attraverso la Germania per raccogliere voti a favore della SPD, appunto.
Si tratta di scritti interessantissimi in cui Grass cerca innanzitutto di ridefinire se stesso come scrittore - “Il posto dello scrittore è nel cuore della società e non sopra o al di fuori della società” - e al contempo, fa una disamina spietata e senza mezzi termini del ruolo politicamente attivo che gli intellettuali devono assumere e dei limiti della sinistra. I temi sono tanti e Grass li affronta tutti con lucidità e coraggio e con il suo stile denso di humour a anche polemico e a tratti grottesco. Fare politica è per lui innanzitutto calarsi concretamente nella realtà, senza appelli entusiastici ed enfatici a grandi utopie e promesse senza sostanza. Fare politica significa agire, guardare la realtà per quella che è, cercare di cambiare le cose concretamente. In nome di questa idea della politica, Grass critica aspramente la sinistra, ma critica anche il gergo della politica, l’abuso di termini e concetti propagandistici che vengono svuotati di significato e diventano solo slogan inutili “È dimostrabile che la parola Realpolitik è stata quasi sempre sinonimo di miopia”.
Quello che serve ai cittadini è la possibilità di un concreto dibattito democratico, a partire da una informazione critica, non viziata dalla stampa di parte che ha perso ormai la propria funzione per asservirsi ai partiti politici “[…] i giornali di informazione presuppongono giornalisti indipendenti e, se possibile, di talento”
Gravi sono le responsabilità della sinistra che non ha saputo farsi carico delle necessità dei cittadini tutti, nemmeno dei propri elettori, e che troppo spesso si è allontanata dalla sua classe di riferimento perché troppo spesso ha avuto come portavoce élites annoiate e velleitarie, e “[…] una élite di sinistra contraddice ai principi del Socialismo Democratico”.
C’è, poi, in Viaggio elettorale un’analisi lucida e impietosa della Germania contemporanea, della sua necessità di riconciliarsi con un passato difficile da portarsi dietro ma ineludibile – tema, questo, presente in tutte le opere dello scrittore – e delle sue difficoltà nel trovare una nuova strada per assicurare il benessere sociale e la stabilità politica: “Privati dell’assurda alternativa della guerra, comprendiamo quanto sia faticosa e stancante la pace, perché bisogna farla ogni giorno”.
Il popolo tedesco porta sulle spalle un peso che lo scrittore di Danzica definisce perfettamente con una semplice metafora: “[…] il tedesco che va in Israele non si mette in viaggio da solo; i suoi compagni di viaggio sono angosciosamente multiformi, la sua valigia pesa più del normale”.
La Germania è per Grass una patria difficile “La Germania – il Paese delle rivendicazioni assolute, dei disegni mondiali e delle sconfitte incondizionate; la Germania – il Paese in cui fioriscono le dottrine miracolose, in cui la ragione è relegata in un canto”. Ed è proprio alla ragione che lo scrittore fa appello perché per lui “Le elezioni sono appelli alla ragione”. Pertanto, non crede nel movimentismo, nelle proteste: “Le proteste sono reazioni al compiersi di un’ingiustizia. L’ingiustizia rimane, la protesta si sgonfia. Poi ricomincia la vita di tutti i giorni”. A maggior ragione se si tratta di proteste portate avanti da esponenti, per lo più giovani, delle famiglie della grande borghesia che “hanno dilatato la protesta contro la casa paterna a protesta contro l’establishment”. Si tratta di proteste momentanee, di un impegno che solo nominalmente si può definire politico poiché non è mai sostanziale, non si propone mai concretamente di cambiare le cose, e maschera questa voluta incapacità dietro ideali irraggiungibili: “[…] denuncio la superbia di quei professori e di quegli studenti per i quali la politica è una mera baruffa di partiti, la realtà è nausea e soltanto l’utopia è dolce”. Questo atteggiamento è pernicioso perché allontana la gente dalla politica e quindi impedisce il confronto democratico e l’attuazione di un qualsiasi tentativo di miglioramento della società. Inoltre, comporta un rischio altissimo, vale a dire il diffondersi dell’assuefazione “E dato che l’assuefazione è stata ed è la riserva più sicura di crimini storici […] tutti coloro che si credono sicuri nel clima tiepido dell’assuefazione non mancano di argomenti: Anche gli altri hanno… Non soltanto noi...”.
Potrebbe sembrare che Grass sia animato da un profondo pessimismo ma in realtà egli crede fermamente nella politica, nell’azione politica concreta consapevole della propria forza e della propria debolezza, senza infingimenti e senza vacui proclami propagandistici. È solo questa la strada per il cambiamento perché “Quando la politica si scontra coi limiti delle sue possibilità, gli oracoli cominciano a parlare” e il mondo non ha bisogno di oracoli. Il mondo ha bisogno di cittadini consapevoli e di una informazione critica.
Da qui l’esortazione che rivolge ai suoi colleghi, e ai cittadini tutti, e anche ai noi, a oltre cinquant’anni di distanza: “Vi rivolgo un invito cordiale: siate scomodamente civici!”.